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Violenza donne, dieci anni dalla Convenzione di Istanbul: passi indietro e prospettive

Il punto in un convegno promosso da L'Abbraccio del Mediterraneo

Pubblicato:11-05-2021 18:31
Ultimo aggiornamento:11-05-2021 18:32

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ROMA – A dieci anni esatti dall’apertura alla firma della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, meglio conosciuta come Convenzione di Istanbul, è la ‘prevenzione’ la prima delle quattro ‘p’ da implementare nell’azione di contrasto al fenomeno da parte degli Stati in base a quanto emerso dagli interventi delle relatrici del convegno online ‘10 anni dalla Convenzione di Istanbul. 7 anni di buio, la ratifica’ promosso da l’Abbraccio del Mediterraneo. A sottolinearlo con forza è in particolare la senatrice Pd e presidente della Commissione di inchiesta sul femminicidio Valeria Valente, che nel suo intervento ricorda quanto sia stato fatto in questi dieci anni sulle altre tre ‘p’, in termini di “punizione“, ma anche di “protezione delle vittime, sebbene si debba fare di più”, come sulle “politiche integrate“.

Sulla necessità di agire per un cambiamento culturale a partire dalle scuole e dalla formazione è anche Laura Moschini, socia fondatrice e componente del consiglio scientifico del Gio-Osservatorio Interuniversitario sugli Studi di Genere, che, nella lotta alla violenza di genere, insiste sulla necessità di sradicare “stereotipi e pregiudizi che relegano le donne nei ruoli tradizionali e nei servizi di cura, impedendo al loro potenziale di essere utile al progresso sociale ed economico. Occorre formazione, perché l’ottica di genere non si improvvisa, si studia”, avverte la docente.

E ricorda come “l’Europa ci chieda di avere un’autorità nazionale con portafoglio che si dedichi solo a questo. Noi non lo facciamo- osserva- anche se nei Paesi che l’hanno fatto ci rendiamo conto che in effetti conviene”.


Fondamentale per veicolare nelle agende politiche degli Stati il contrasto alla violenza di genere, però, sarà il turno di presidenza italiana del G20, in cui l’engagement group del Women 20 (W20) lavorerà su questo tema specifico.

“Tra i punti principali pensati per essere portati alla fine dei nostri lavori nel communiqué- spiega Sveva Avveduto, dirigente di ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) presso l’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) e membro del W20- ci sono: lo sviluppo di politiche pubbliche coerenti e mirate a garantire a donne e ragazze il diritto a vivere senza violenza; il sostegno a politiche per i diritti delle donne; la lotta a stalking, molestie e violenze sessuali; il miglioramento dell’assistenza sanitaria per donne e ragazze“.

E ancora: “La protezione dei minori; un’azione contro la violenza informatica (cyber violence) sulle donne a tutti i livelli; e la garanzia dell’eliminazione della tratta di donne e ragazze”. In controtendenza rispetto al percorso segnato dal Women 20, la recente uscita della Turchia dalla Convenzione di Istanbul, “un unicum- avverte Simona Lanzoni, vicepresidente della fondazione Pangea e coordinatrice della rete Reama- perché non è mai successo finora che un Paese uscisse da un trattato sui diritti umani. Uscire da una convenzione costruita in un contesto internazionale, in cui si crea uno standard tra tanti Paesi che definiscono nella stessa maniera cosa sono la violenza fisica e psicologica, quali sono i meccanismi per uscire dalla violenza, è qualcosa di eccezionale su cui non si può tornare indietro”.

Il pericolo “è che esca anche la Polonia” e che si elaborino “convenzioni alternative, che però non sono internazionali e hanno a che fare con la questione della famiglia”. Esempio virtuoso di come si possano ribaltare i paradigmi di lettura del fenomeno a livello dei tribunali è, invece, la Svezia, dove “l’onere della prova nei casi di violenza sessuale è a carico dell’autore di violenza, non della vittima”.

Sempre in Svezia, “il tema è stato inserito nei curriculum universitari”, consentendo “a tutti i laureandi di sapere cos’è la violenza di genere e di non partire da zero”. “Dal punto di vista maschile- dice nel suo intervento Alessandro Amadori, psicologo, saggista e sondaggista- deve succedere, da un lato, quello che è successo tra le donne con il femminismo. Dobbiamo ‘downloadare’ programmi più avanzati a livello dell’immaginario. Dall’altra- conclude- ci vuole un nuovo patto tra i generi, una nuova alleanza tra maschile e femminile per mettere fine a questa guerra che produce morti e sofferenze e per diventare finalmente umanità”.

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