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Aemilia, la difesa chiede interprete per dialetto calabrese. Ma il giudice dice ‘no’

REGGIO EMILIA - Un interprete per "decifrare" le

Pubblicato:11-05-2016 16:30
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:42

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giustizia

REGGIO EMILIA – Un interprete per “decifrare” le espressioni in dialetto calabrese riportate nelle intercettazioni degli imputati. E’ quanto chiesto oggi dagli avvocati difensori nella nuova udienza del processo Aemilia, in cui è stato nominato anche il collegio dei tre periti incaricato della trascrizione delle intercettazioni. Il presidente del collegio giudicante Francesco Maria Caruso respinge però la richiesta, ritenuta, “non necessaria o compatibile con la procedura che stiamo seguendo”. I periti nomineranno quindi un consulente di loro fiducia che si occuperà delle espressioni dialettali. Vista la mole ingente di materiale da trascrivere- si parla di circa 120.000 intercettazioni– i periti relazioneranno sullo stato dei lavori nell’udienza del prossimo 21 luglio.

carabinieriE’ intanto partita nell’aula speciale del tribunale di Reggio la deposizione di Andrea Leo, il super testimone ex comandante dei Carabinieri di Fiorenzuola dal 2011 al 2012 che ha iniziato questa mattina a testimoniare sulle indagini da cui è partito il procedimento giudiziario. In premessa Leo sottolinea i caratteri peculiari della ‘ndrangheta in Emilia, le cui intimidazioni “non sono come normalmente avviene dirette a chiedere il pizzo, ma ad appoggiare le finalità dell’organizzazione del territorio”. Inoltre gli interessi del sodalizio criminale non si sono limitati ad invadere i settori classici dell’economia (trasporti, edilizia) ma anche a “stringere rapporti con istituzioni, faccendieri, forze dell’ordine e politici, allo scopo di agevolare le strategie economiche”.


A questo proposito, fa notare il comandante, “il nome del boss Nicolino Grande Aracri, veniva usato come biglietto di presentazione, ma molte delle attività svolte, come quelle di ‘recupero crediti’ non avevano nulla a che fare con la formazione di Cutro e spesso non venivano neanche comunicate”. Le prime indagini sulle infiltrazioni mafiose tra Reggio, Modena, Parma e Piacenza, con ramificazioni anche nel mantovano e nel cremonese, sono partite tra il 2000 e il 2001.

di Mattia Caiulo, giornalista

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