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Paralimpiadi, Andrea Macrì: “Dopo il crollo del tetto del liceo, lo sport mi ha salvato”

L'atleta di para ice hockey rimase coinvolto nell'incidente al 'Darwin' di Rivoli, in cui morì il compagno di classe Vito Scafidi

Pubblicato:11-03-2022 17:30
Ultimo aggiornamento:11-03-2022 17:30

andrea macrì
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ROMA – Quando il tetto del liceo ‘Darwin’ di Rivoli è crollato sugli studenti della 4D, nel 2008, due ragazzi di 17 anni stavano parlando tra di loro. Uno si chiamava Vito Scafidi, che in quel tragico incidente perse la vita. L’altro, Andrea Macrì, rimase ferito in modo grave alla schiena e agli arti. Dopo nove mesi in ospedale e anni di cure e fisioterapie, Andrea è riuscito lentamente a riprendere parte della mobilità motoria e non ha smesso di lottare. Oggi è un atleta paralimpico di para ice hockey, disciplina in cui la squadra italiana ha appena conquistato il quinto posto ai Giochi paralimpici invernali di Pechino 2022.

“Un quinto posto inaspettato- dice Andrea Macrì all’agenzia Dire- Sono stati dei giochi particolari per tutto ciò che è successo al di fuori. Ma noi siamo andati avanti e abbiamo pensato solo al nostro obiettivo, che era giocare e lottare a ogni partita, anche quando abbiamo giocato con giocatori professionisti. Abbiamo lottato, abbiamo combattuto e alla fine siamo arrivati quinti e prima nazione europea in questo sport”.

Andrea si avvicina allo sport paraolimpico durante il periodo di riabilitazione all’Unità Spinale del Centro Traumatologico Ortopedico di Torino, dov’è stato ricoverato a seguito dell’ incidente. Durante la riabilitazione si avvicina ad alcuni sport paraolimpici come il tiro con l’arco e la scherma. Inizia a gareggiare in spada e fioretto, ma poi scopre il para ice hockey, la variante dell’hockey su ghiaccio riservata alle persone con disabilità.


“Invito i giovani che non conoscono questo sport a guardarlo, seguirlo, provarlo. Sono sicuro che li appassionerà– commenta Andrea- Bisogna promuovere di più questa disciplina, a cominciare dalla comunicazione. Sarebbe bello iniziare a vedere gli atleti in qualche spot pubblicitario, usare gli strumenti di comunicazione dei giovani come i social e aumentare il nostro appeal per cercare di invogliare ragazzi giovani ad avvicinarsi a questo sport”.

Oggi, a 14 anni di distanza dall’incidente, Andrea ha ancora contatti con gli studenti e studentesse di quella 4D, diventati ormai adulti. “Soprattutto con uno di questi, Francesco, che mi ha sempre supportato- racconta- Molti di loro hanno preso strade diverse, ma so benissimo che c’è un legame molto forte che ci legherà sempre. Se sono riuscito a trasformare il dolore per il dramma in motivazione agonistica è soprattutto grazie all’aiuto della mia famiglia, degli amici, anche il personale dell’ospedale: loro sono stati il supporto principale. Ritrovarsi a 17 anni, per 9 mesi in ospedale, non è facile. Ma lo sport mi ha fatto conoscere sempre più persone e mi ha fatto capire a quale mondo mi stessi avvicinando: quello paraolimpico, un mondo meraviglioso”.

Adesso, dopo l’avventura di Pechino, Andrea e la squadra italiana di para ice hockey già guardano al prossimo obiettivo: Milano-Cortina. Una grande occasione per “far emozionare il pubblico e mettere al collo qualcosa di importante. Vi faremo sognare”.

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