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Strage del 2 agosto, i pm: “Gelli e altri i mandanti”. Ma sono tutti morti. Bellini tra gli esecutori

Chiuse le indagini della Procura generale di Bologna: l'ex estremista di Avanguardia nazionale Paolo Bellini, oggi 67 anni, è accusato di essere tra gli esecutori della strage

Pubblicato:11-02-2020 14:58
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:59
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BOLOGNA – L’ex estremista di destra Paolo Bellini, la ‘Primula nera’ di Avanguardia nazionale, fu tra gli esecutori della strage del 2 agosto 1980 assieme a Francesca Mambro, Valerio Fioravanti, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini. E agì in concorso con, tra gli altri, i vertici della P2, “Licio Gelli e Umberto Ortolani (in qualità di mandanti-finanziatori)”. Questa la conclusione a cui sono giunti, nell’ambito dell’inchiesta sui mandanti dell’attentato, i magistrati della Procura generale di Bologna, Alberto Candi, Umberto Palma e Nicola Proto, che hanno notificato a Bellini e ad altri tre indagati (l’ex ufficiale del Sisde, Quintino Spella, l’ex Carabiniere, Piergiorgio Segatel, e Domenico Catracchia, amministratore di condominio dell’immobile di via Gradoli 96 a Roma, dove si nascondevano le Brigate rosse, il cui nome è emerso anche in relazione ai covi che i Nar avevano nella stessa via), l’avviso di fine indagine.

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Bellini, indagato per concorso in strage, secondo i magistrati agì, “in qualità di esecutore”, in concorso non solo con Gelli e Ortolani, indicati appunto come mandanti-finanziatori dell’attentato, ma anche con Federico Umberto D’Amato, già direttore dell’Ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno, definito “mandante-organizzatoredella strage, e Mario Tedeschi, indicato come organizzatore “per aver coadiuvato D’Amato nella gestione mediatica dell’evento strage, preparatoria e successiva all’evento stesso, nonché nell’attività di depistaggio delle indagini”. Tutti e quattro (Gelli, Ortolani, D’Amato e Tedeschi), comunque, sono già morti e quindi non più processabili


Oltre che nei confronti di Bellini, la Procura generale ha chiuso le indagini sull’ex generale Quintino Spella, che nel 1980 era responsabile del Sisde a Padova. A Spella, che ora ha 90 anni, viene contestato il reato di depistaggio perché, quando venne sentito dai magistrati della Procura generale, avrebbe “negato il vero, sostenendo di non aver incontrato, nel luglio e nell’agosto 1980, il magistrato di sorveglianza di Padova, Giovanni Tamburino”, che gli aveva riferito quanto appreso dall’estremista di destra Luigi Vettore Presilio, e cioè che di lì a poco sarebbe stato realizzato un attentato molto grave, di cui avrebbero parlato i giornali di tutto il mondo. Spella avrebbe dovuto testimoniare nel processo a carico di Cavallini per concorso nella strage, conclusosi in primo grado a gennaio con la condanna all’ergastolo, ma non si presentò per motivi di salute.

Proprio in quell’occasione la sua legale Luisa Granata rese noto il fatto che la Procura generale lo stava indagando per depistaggio. Il terzo indagato su cui sono stati conclusi gli accertamenti è l’ex Carabiniere del Nucleo investigativo di Genova, Piergiorgio Segatel, oggi 71enne. Anche per lui l’accusa è di depistaggio, in quanto avrebbe mentito ai magistrati della Procura generale quando smentì quanto sostenuto da Mirella Robbio (moglie dell’esponente di Ordine nuovo, Mauro Meli), secondo cui Segatel le fece visita poco prima del 2 agosto, dicendole che “la destra stava preparando qualcosa di veramente grosso” e chiedendole di riprendere i contatti con il Msi di Genova e con gli amici del marito per “cercare di capire cosa fosse in preparazione”. 

Segatel ha inoltre negato, secondo gli investigatori falsamente, di essere andato a trovare Robbio dopo la strage, dicendole “hai visto cosa è successo?” o una frase simile. Per i magistrati, infine, Segatel ha mentito quando ha dichiarato che la sua prima visita a Robbio era stata fatta per chiedere informazioni sull’omicidio del pm romano Mario Amato, e non per saperne di più sulla strage che si stava preparando, e quando ha affermato di aver fatto la seconda visita per scrupolo, in quanto “poteva essere l’unico spunto per delle indagini”.

È invece accusato di false informazioni al pubblico ministero il 75enne Domenico Catracchia, responsabile delle società, legate ai Servizi, che affittavano gli appartamenti di via Gradoli, dove nel 1981 si rifugiarono alcuni appartenenti ai Nar. Catracchia avrebbe mentito, allo scopo di ostacolare le indagini, quando ha negato di aver affittato uno di quegli appartamenti tra settembre e novembre del 1981. Inoltre, sarebbe stato reticente per essersi rifiutato di spiegare perché Vincenzo Parisi, alto funzionario di Pubblica sicurezza e poi vicedirettore del Sisde, “si serviva di tutta l’agenzia” dello stesso Catracchia, e non avrebbe spiegato la circostanza, emersa in un’intercettazione ambientale, per cui Parisi si avvaleva dei suoi servizi per l’attività immobiliare.

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