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Clima, l’allarme di Legambiente: “Ghiacciai alpini ridotti del 60% in 150 anni”

È quanto emerge in sintesi dal report realizzato da Legambiente in collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano (CGI) e presentato per la Giornata internazionale della Montagna

Pubblicato:10-12-2020 10:32
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:43

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ROMA – La crisi climatica mette sempre più in pericolo i ghiacciai alpini. Il riscaldamento climatico determina sulle Alpi italiane pesanti e molteplici effetti ambientali, tra i quali la perdita di neve e ghiaccio e la degradazione del permafrost. “Si stima che la superficie glacializzata dell’arco alpino si sia ridotta del 60% negli ultimi 150 anni”. È quanto emerge in sintesi dal report finale ‘Carovana dei ghiacciai‘, realizzato da Legambiente in collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano (CGI) e presentato questa mattina, in vista della giornata internazionale della montagna che si celebra l’11 dicembre, nel corso del webinar trasmesso in diretta streaming sulle pagine Facebook di Legambiente, La Nuova Ecologia e Legambiente Alpi.

La deglaciazione colpisce soprattutto le Alpi Orientali dove, stando agli ultimi dati diffusi dal Comitato Glaciologico Italiano (CGI), nello stesso intervallo di tempo i ghiacciai delle Alpi Giulie hanno visto ridursi il proprio volume del 96% e la propria area dell’82%. Situazione non buona anche per i ghiacciai delle Alpi Occidentali e Centrali: sulle prime, sono praticamente scomparsi i ghiacciai delle Alpi Marittime e vi sono molti ghiacciai in cui l’arretramento della fronte ha superato le decine di metri all’anno; sulle Alpi Centrali preoccupa lo stato di salute del grande ghiacciaio dei Forni che, con un’estensione areale di circa 11 km2, è il più esteso in Italia dopo quello dell’Adamello. Il ghiacciaio dei Forni mostra oggi una fronte appiattita e coperta di detrito, crepacciata, con fenomeni di collasso e cavità in ghiaccio. “Ma i ghiacciai si dimostrano anche sensibili testimoni della qualità dell’aria”, avverte il rapporto. Preoccupa a tal riguardo la presenza ad alta quota del fenomeno del black carbon, costituito da polveri derivanti dall’inquinamento atmosferico di origine antropica proveniente da incendi e da inquinanti che arrivano dalla pianura. Questa componente fa sì che il ghiacciaio fonda più rapidamente. “La presenza di black carbon, di tracce di microplastiche e di vari inquinanti, come su tutti i ghiacciai del pianeta, è un altro lampante segnale dell’invadenza dell’impatto antropico sulla terra”, segnala l’associazione.

Nel report finale oltre a raccogliere osservazioni d’insieme sui tre settori alpini (occidentale, centrale e orientale) grazie anche ai dati raccolti in questi anni dal CGI, l’associazione fa il punto anche attraverso una serie di mappe, grafici e descrizione dettagliate, sullo stato di salute dei dodici ghiacciai alpini differenti per dimensioni, tipologia e reattività ai cambiamenti cli­matici monitorati dal 17 agosto al 4 settembre 2020 nel corso della prima edizione di Carovana dei ghiacciai. Obiettivo è riaccendere i riflettori sui ghiacciai, testimoni del clima che cambia e sentinelle della qualità dell’aria; essi ci ricordano che la loro regressione comporta anche preoccu­panti conseguenze a valle, sulle risorse idriche, oltre che un aumento dei fenomeni di instabilità naturale, causa di erosione del suolo e di dissesto idrogeolo­gico. La presentazione del rapporto è stata l’occasione per presentare un pacchetto di dodici proposte “per affrontare adeguatamente l’acuirsi dei cambiamenti climatici in montagna chiedendo in primis di approfondire le ricerche sulle variazioni dei ghiacciai e del permafrost; affrontare le conseguenze economiche del riscaldamento climatico come quelle sull’industria del turismo invernale riconoscendo la necessità di convertire progressivamente quei modelli di sviluppo che espongono i territori alla continua incertezza stagionale; individuare opzioni di adattamento a breve e lungo termine partendo dall’esame di buone pratiche e misure già esistenti e promuovendo percorsi di pianificazione partecipata tra le popolazioni interessate per una ‘governance integrata’ del territorio che consideri l’insieme delle risorse e dei rischi che lo contraddistinguono”. 


Al Governo l’appello di “approvare al più presto il Piano Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e di mettere in campo politiche ambiziose sul clima con lo scopo di arrivare a emissioni nette pari a zero al 2040″. 

“Con i dati raccolti in questo report e con la campagna Carovana dei ghiacciai- spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente- abbiamo voluto evidenziare in maniera concreta e tangibile gli effetti che il riscaldamento climatico sta già avendo anche sul nostro Paese e sui ghiacciai alpini. Per questo occorre agire adesso e al più presto, senza perdere altro tempo, se non vogliamo che il riscaldamento climatico produca effetti devastanti e irreversibili sui territori alpini. Un appello che rilanciamo nuovamente al Governo a pochi giorni dal quinto anniversario dalla firma degli Accordi di Parigi. Occorre mettere in campo misure e politiche ambiziose sul clima con lo scopo di arrivare a emissioni nette pari a zero al 2040, in coerenza con l’Accordo di Parigi, ed è urgente definire approfonditi piani di gestione ed adattamento, risultato di politiche e di investimenti che sappiano valorizzare il grande lavoro di studio che si sta producendo sulla montagna al fine di tradurlo in strategie concrete volte ad aumentare la resilienza delle popolazioni e del territorio”. Il lavoro instancabile di ricercatori e operatori del Comitato Glaciologico Italiano ha permesso di mantenere dalla fine dell’800 la memoria dei segnali di ritiro glaciale nelle Alpi, producendo serie storiche di dati indispensabili per avviare analisi retrospettive e interpretare gli scenari futuri. “Per la catena alpina, questi dati parlano chiaro- segnala Legambiente- dal 1850 ad oggi, mentre la temperatura media annuale aumentava di 2 gradi (il doppio della media globale), le aree coperte dai ghiacciai alpini si riducevano di oltre il 60%”. 

Le prospettive future si ricavano dal confronto coi dati più recenti: dalla fine del decennio 1980 la contrazione dei ghiacciai si è notevolmente accelerata e i delicati equilibri degli ambienti glaciali d’alta quota sono sconvolti dal progredire del riscaldamento climatico. “Attraverso la Carovana dei ghiacciai” dichiara Marco Giardino, segretario del Comitato Glaciologico Italiano, “abbiamo iniziato un’opera di comunicazione per trasformare queste evidenze scientifiche in un patrimonio di conoscenza condiviso con la società: infatti, solo attraverso una diffusa consapevolezza della dimensione del ritiro glaciale vi può essere una chiara percezione della gravità delle sue conseguenze. Passi indispensabili per giungere eventualmente alla messa in atto di adeguate misure di adattamento”.

Tornando al report, nelle Alpi Orientali preoccupa la situazione del ghiacciaio della Marmolada che in base agli ultimi dati raccolti dai ricercatori potrebbe scomparire nell’arco di 15-20 anni. Nel settore delle Alpi centrali, monitorato con il contributo del Servizio Glaciologico Lombardo, procede incessante da numerosi anni, soprattutto sui ghiacciai lombardi, la contrazione delle fronti, particolarmente mar­cata nel 2018. La contrazione dei ghiacciai lombardi è sottolineata da numerosi apparati che sono scarsamente alimentati o addirittura qua­si completamente privi di neve residua alla fine della stagione di ablazione. 

Tra i gruppi montuosi più esposti vi sono il Gruppo Ortles – Cevedale, il Gruppo Badile – Disgrazia e il Gruppo Bernina e anche il Gruppo Adamello. Nell’ultima campagna del Comitato Glaciologico Italiano, quella del 2019, il Gruppo Disgrazia regi­stra i ritiri più consistenti, con il ghiacciaio omonimo che ha perso 35 m alla fronte e il Ghiacciaio della Ventina che è arretrato di 40 m; nel Gruppo Bernina, il Ghiacciaio di Scer­scen superiore ha perso 86 m rispetto al 2017. Nelle Alpi occidentali sulla base dei censimenti più recenti, sono presenti circa 300 ghiacciai, che occupano una superficie complessiva di 160 km2. I dati raccolti dal CGI mostrano che le caratteristiche glaciologiche di questo settore sono tuttavia estremamente variabili, ri­sentendo delle marcate differenze altimetriche, latitudinali e climatiche dei massicci montuosi che lo compongono. In anni recenti, i ritiri frontali sono sovente valori a due cifre, ma in alcuni casi possono raggiungere le centinaia di metri (-335 metri al Ghiacciaio del Gran Paradiso nel 2019). L’arretramento delle fronti, tuttavia, rappresenta solo in parte la drammatica perdita di massa gla­ciale documentata dai bilanci di massa effettuati su alcuni ghiacciai selezionati del settore: il Ghiacciaio del Grand Etret (Gran Paradiso) ha perso negli ultimi 20 anni quasi 20 metri di spessore.

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