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Da Casal di Principe a Palermo, le imprese nate dai centri antiviolenza si fanno modello

"Bisogna sollecitare la politica affinchè riscriva quel vivere comune che la pandemia Covid-19 ha fatto a pezzi facendo emergere debiti e disuguaglianze" dichiara la sociologa, femminista e attivista della Cooperativa E.V.A., Lella Palladino

Pubblicato:10-11-2020 18:33
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:12

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ROMA –  Resistere e reinventare, anche per se stesse, un nuovo mondo “meno ingiusto”, in un momento in cui “a fare la differenza sarà il restare insieme col nostro sguardo di genere, e a sollecitare la politica affinché qualcosa possa veramente cambiare”. È un paradigma già pronto e sperimentato in centri antiviolenza e case rifugio, quello proposto dalla sociologa, femminista e attivista della Cooperativa E.V.A., Lella Palladino, come ricetta di “riscrittura” di “un vivere comune” che la pandemia Covid-19 ha fatto a pezzi facendo emergere debiti e disuguaglianze, e che, proprio dall’esperienza delle donne in uscita dalla violenza, potrebbe trovare nuova linfa. Modellizzata grazie alla ricerca dell’associazione Le Nove, la metodologia di reinserimento lavorativo delle donne in uscita dalla violenza sviluppata con il laboratorio di catering e confetture ‘Le ghiottonerie di Casa Lorena’ è stato il punto di partenza della tavola rotonda di stamattina ‘È un’impresa dire no alla violenza’. Titolo evocativo del convegno, ma soprattutto del progetto finanziato dal Dipartimento Pari Opportunità che ha permesso di ampliare il laboratorio nato nel 2012 a Casal Di Principe con una nuova linea di produzione dedicata ai taralli campani, attivando al contempo nuove borse lavoro per le donne.

Si tratta di “un’efficace collaborazione pubblico-privato sociale che, osserva Palladino, “quando accade va valorizzata e rendicontata”. Da ‘Le ghiottonerie di Casa Lorena’, infatti, “sono passate circa 40 donne in uscita dalla violenza”, ricorda Daniela Santarpia, presidente della Cooperativa sociale E.V.A. che otto anni fa ha dato vita a una sperimentazione che ormai si è affermata come buona prassi e che “mette al centro le donne. Una donna vittima di violenza pensa di non valere nulla, perché è stata depauperata di ogni desiderio– sottolinea- Iniziare a interagire con un gruppo con altre lavoratrici” significa “che quella stessa donna viene messa in grado di scegliere, misurarsi con le altre, sbagliare, un allenamento importante che le dà la misura di ciò che vale”. Che, tradotto in una parola, significa ‘empowerment’.

Ricentralizzare bisogni e desideri, rileggere la propria storia personale con griglie “non colpevolizzanti ma valorizzanti, essere coinvolte in un’attività produttiva protetta ma non paternalistica”: da lì nascono “l’autonomia e la libertà di queste donne”, per Maria Grazia Ruggerini, ricercatrice dell’associazione Le Nove che illustra il senso della ricerca condotta sulla sperimentazione di Casa Lorena in comparazione con gli Spazi Mamme di Save The Children.


È “il valore del gruppo” l’elemento che accomuna i due progetti, studiati insieme e messi a confronto perche’ “l’idea è che un’esperienza buona e importante debba essere in grado di dialettizzarsi, scambiarsi, diffondersi”. “Quello che ho notato nel rapporto sulla ricerca di Le Nove- spiega Raffaella Milano, direttrice dei programmi Italia-Europa di Save The Children- è l’approccio comune tra due realtà cosi’ diverse, quello della resilienza, dell’empowerment, del rifiuto dell’assistenzialismo e del vittimismo”, che può assurgere a modello per superare la crisi causata dalla pandemia “nella convergenza dei movimenti di diritti” che si muovono a livello globale.

CASA LORENA NON È IL SOLO ESEMPIO VIRTUOSO

Ma Casa Lorena non è il solo esempio virtuoso. Da Latina a Palermo, dal Basso Lazio al Molise i cav sono moltiplicatori di esperienze di autonomia lavorativa e d’impresa al femminile. È il caso di ‘La.b’, il percorso di inclusione lavorativa illustrato da Francesca Innocenti del Centro Donna Lilith e nato da una sinergia con il Comune di Latina e un finanziamento del Dpo, che ha permesso di creare un laboratorio artigianale di pelletteria a partire dagli scarti dei grandi allevamenti pontini: le pelli di bufala lavorate da sei donne che a settembre hanno presentato alla città i loro lavori. È il caso pure delle ‘Cuoche combattenti’, nate dalla determinazione di Nicoletta Cosentino, che dopo un tirocinio realizzato grazie al cav de Le Onde Onlus di Palermo, racconta Giusy Chirco, “e’ diventata un’imprenditrice”. Come pure Giorgia, che con la sua Clean Sicily “in meno di due anni è riuscita ad assumere quattro dipendenti a tempo indeterminato, di cui tre donne vittime di tratta, acquistare un mezzo aziendale, e gestire per pulizie, sanificazioni e manutenzioni 60 appartamenti, sei uffici e due condomini”. Bilancio più che positivo anche per il progetto Green Lab promosso nel 2016 dall’associazione Risorse Donne di Sora con l’assessorato Pari Opportunita’ e Ambiente del Comune ciociaro, grazie al quale 16 donne, tre cui tre in uscita dalla violenza, hanno potuto acquisire competenze specifiche nell’ambito della gestione e rigenerazione creativa dei rifiuti con un laboratorio “collocato all’intero dell’ecocentro- spiega Alessia Garonfalo di Risorse Donna- in cui hanno potuto intercettare questi scarti e farli diventare nuove linee di prodotto”, trasformandosi in “attiviste per la tutela ambientale” in un “circuito locale green” che ha visto entrare nel progetto le aziende e la comunità.

 L’empowerment “è al centro dell’attività di Be Free- spiega Oria Gargano presidente della Cooperativa Sociale che gestisce cav e case rifugio in Lazio, Abruzzo e Molise- Da tre anni grazie a un Por con la Regione Molise produciamo il pluripremiato olio ‘La terra delle donne’. Abbiamo più di 150 accordi di tirocinio con varie aziende e altri due progetti: ‘Perfetto migliorabile’, contest di empowerment per 14 donne che hanno potuto frequentare corsi e tirocini con voucher mensili per due anni e da cui è uscita un’ottima pratica; e l’ultimo di far diventare operatrici come noi, due ragazze uscite dalla tratta”. “Attualmente gestiamo tre importanti progetti di reinserimento lavorativo delle donne in uscita dalla violenza- fa sapere Elisa Ercoli, presidente di Differenza Donna Ong- Il progetto ‘Integra’ finanziato dalla Regione Lazio; ‘Women at work’, finanziato dal Dpo; e il progetto ‘Tolerant, per accompagnare le donne migranti. Esiste una specificità del reinserimento lavorativo delle donne in uscita dalla violenza- ricorda Ercoli- Se avremo delle politiche specifiche in questo senso, queste misure devono prevedere quello che noi abbiamo capito in questi anni”, e cioè che, “se noi abbiamo un problema di espulsione del mondo del lavoro, le donne in uscita dalla violenza hanno ulteriori difficoltà” che consistono in un “surplus di svalorizzazione”, vissuta non solo all’interno della società come per tutte le donne, ma anche dentro una storia con un uomo. Per questo è fondamentale includere “le donne in uscita dalla violenza all’interno dell’intero gruppo di donne che ha oggi una grande opportunità di farsi sentire”, conclude Ercoli. E fa un invito: “Prendiamo l’occasione del G20 per metterci insieme su due tre punti fondamentali su cui essere unite, l’unica vera garanzia per tutte le donne, anche per le donne in uscita dalla violenza”. 

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