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Legare non cura, il Gis Geriatrico Aifi contro la contenzione

La contenzione non deve mai essere un mezzo per sopperire alla mancanza di personale di strutture che assistono pazienti fragili, in particolare gli anziani.

Pubblicato:10-11-2018 17:25
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:46

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ROMA – La contenzione non deve mai essere un mezzo per sopperire alla mancanza di personale di strutture che assistono pazienti fragili, in particolare gli anziani. Si sviluppa a partire da questo concetto l’impegno del Gruppo di interesse specialistico di Fisioterapia Geriatrica dell’AIFI nel contrastare la contenzione, assicurando il benessere dei pazienti, non solo dal punto di vista fisico ma anche psico-sociale.

L’interesse sulla tematica sta crescendo in Italia negli ultimi anni, nonostante sia una questione “complicata da trattare ma sicuramente di civiltà e professionalità”, e che “coinvolge diverse professioni sanitarie e la comunità”: la strada è quella del “cambiamento culturale”, necessario per ribaltare il concetto di assistenza da un approccio standardizzato a uno che metta al centro l’individuo e le sue esigenze, garantendone comunque la sicurezza. Superare la contenzione è dunque l’obiettivo (“raggiungibile”) del Gis Geriatrico, che oggi a Roma ha organizzato insieme ad AIFI Lazio un convegno per affermare che non solo “si può” andare oltre le cinture e le sponde che costringono all’immobilità un paziente anziano, ma “si deve”.


LEGARE NON CURA I PAZIENTI

Diverse sono le modalità con cui viene controllata la libertà delle persone, attraverso un’applicazione meccanica (tramite strumenti come fasce, cinture e sponde applicate al letto), farmacologica, ambientale (confinamento della persona in un determinato ambiente, vietandole di uscire liberamente), e fisico (immobilizzazione tramite le braccia, ad esempio).

Per tutte queste pratiche esistono numerose complicanze, che spaziano dai traumi meccanici alle malattie funzionali organiche, dalle sindromi della sfera psico-sociale, fino alla morte. Oltretutto la contenzione è una pratica che non ha carattere di eccezionalità ma risulta anzi diffusa, e ha delle conseguenze non solo sulla persona legata ma anche sugli altri pazienti intorno a lui, sui familiari, sugli operatori sanitari.

Nel 2015 il Comitato nazionale di Bioetica della Presidenza del Consiglio dei ministri ha affermato che la contenzione meccanica è una pratica diffusa che deve essere superata, condannandone l’applicazione per motivi organizzativi e sottolineando come si tratti di una azione che non cura, non riabilita né tantomeno previene le cadute e l’insorgenza di altre problematiche. Un pronunciamento, dunque, che costituisce una svolta, “l’anno zero” in materia.

LE COMPETENZE DEL FISIOTERAPISTA

Come si può superare la contenzione, e quali sono le modifiche necessarie? Sicuramente il primo passo è individuare i pazienti a rischio cadute, gestendo il rischio clinico e associandolo a un’attività di report che possa consentire di affrontare sempre meglio la problematica sviluppando esperienza nel trattamento.

“Tutto questo fa parte delle competenze di un fisioterapista- spiega Gilberto Cherri, presidente del GFG dell’Associazione italiana Fisioterapisti- dobbiamo pretendere di entrare nella modulazione, applicazione e valutazione dei setting assistenziali più corretti, passando da una assistenza tradizionale che sostituisce l’autonomia dell’anziano fino a fargli perdere la capacità di deambulazione e simili, a una assistenza attivante, abilitante e individualizzata che metta in condizione l’individuo di esercitare le sue funzioni, facendo capire anche ai familiari che bisogna uscire dal concetto di ‘accudimento’, stimolando le attività quotidiane. E’ la struttura che deve adattarsi alla persone e non viceversa”.

CAMBIAMENTI E ORGANIZZAZIONE

Integrazione e coordinamento sono dunque le peculiarità che investono le figure professionali a contatto con i pazienti anziani. Il risultato da raggiungere è il profondo mutamento del modo in cui vengono concepiti i problemi, gestite le risorse, impostate le varie organizzazioni. Ecco perché esistono metodi diretti e indiretti per superare la contenzione.

I primi riguardano l’attenzione all’ambiente circostante, ma soprattutto i cosiddetti ausili alternativi (in cui cruciale è dunque la finalità dell’utilizzo del dispositivo: è un atto sanitario solo se serve a fornire supporto alla postura, oppure aiuta a compiere gesti nel modo più sicuro e rapido, aiutando a prevenire l’aggravarsi di una disabilità).

I secondi, invece, riguardano l’organizzazione della struttura, le modalità operative, la valorizzazione delle professioni e lo sviluppo culturale, coinvolgendo anche i familiari del paziente ed educando in generale l’opinione pubblica.

TRIESTE ESEMPIO DI LIBERTA’

Si tratta sicuramente di una meta difficile da raggiungere, ma non impossibile. Lo dimostra l’esempio di Trieste, dal 2013 città “libera dalla contenzione” ed esperienza pilota per il rispetto dei diritti di civiltà, salute e umanità, grazie all’impegno fin dal 2006 da parte dell’Azienda sanitaria universitaria integrata locale e dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri di Trieste.

A conferma che le parole sono importanti quanto i fatti, il GFG ha recentemente proposto la modifica dell’articolo 28 del Codice deontologico del Fisioterapista, che attualmente recita: “La contenzione è una pratica clinica eccezionale che deve salvaguardare il rispetto della dignità e della libertà della persona”, spiegando che “non può essere un metodo vicariante le carenze assistenziali dell’organizzazione”.

Il nuovo articolo, quindi, dovrebbe riportare che “la contenzione non è un atto sanitario e non ha finalità preventiva, di cura o riabilitazione. Il fisioterapista promuove una cultura della cura e dell’assistenza rispettosa dei diritti e della dignità della persona e si adopera per il superamento della contenzione, anche contribuendo alla realizzazione di modelli di cura e assistenza attivanti e liberi da pratiche di contenzione”.

https://www.youtube.com/watch?v=xsIcRXxJPaQ&feature=youtu.be

CHERRI (GFG AIFI): SUPERAMENTO CONTENZIONE E’ OBBLIGO

“Superare la contenzione è un obbligo per le nostre professioni sanitarie, una sfida per il futuro in particolare per i fisioterapisti. Non c’è salute, soprattutto per i pazienti anziani, senza il rispetto dei diritti, senza l’acquisizione di alcune consapevolezze”. A dirlo è Gilberto Cherri, presidente del Gis di Fisioterapia geriatrica dell’AIFI, che questa mattina a Roma ha organizzato insieme ad AIFI Lazio il corso ‘Superare la contenzione? Si può, si deve!’.

“Contenere vuol dire limitare la libertà di un individuo- aggiunge- metterlo nelle condizioni di non esprimere movimenti e renderlo sempre più disabilitato e incapace. Ciò va contro il nostro agire professionale e gli obiettivi di salute, contro il nostro essere facilitatori del movimento e del recupero. I diritti dell’anziano vanno di pari passo con la sua capacità di esercitarli, perciò dobbiamo essere noi fisioterapisti a dargli le gambe”.

Per il presidente del GFG si tratta “esclusivamente di una questione culturale. Come ci spiegano la legge e i magistrati, le norme in materia sono abbastanza ridotte ma allo stesso modo precise: siamo guidati dall’articolo 13 della Costituzione che dice che la libertà individuale è inviolabile. Di conseguenza la cultura e la crescita professionali ci aiutano a capire che è data a noi la responsabilità di trovare tutte le alternative di cura, assistenza e riabilitazione utili al superamento della contenzione che mettano in grado gli operatori e le strutture di non utilizzarle”.

Recentemente il Gis Geriatrico ha proposto la modifica dell’articolo 28 del Codice deontologico dei fisioterapisti, affermando esplicitamente che non ci può essere contenzione, in quanto non rappresenta un atto sanitario. “Il nostro obiettivo è quello prima di tutto di chiarire gli equivoci e i dubbi, ribadire che contenere non è fare gestione del rischio clinico, non è fare prevenzione delle cadute né fare sicurezza. Poi affermare che l’azione del fisioterapista in questo ambito deve essere esclusivamente quella di trovare strategie utili al superamento di questa pratica, contribuendo insieme agli altri professionisti sanitari”.

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