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Imprese, l’operazione ‘Araba fenice’ ne salva 56 in Emilia-Romagna

A Reggio Emilia, dal 2009 sono stati attivati 8 progetti di 'salvataggio' con il sostegno di Legacoop

Pubblicato:10-11-2017 17:47
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:53

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REGGIO EMILIA – Imprese che, come l’araba fenice, risorgono dalle ceneri della crisi economica grazie ai lavoratori, una volta dipendenti, che diventano imprenditori di se stessi. Decidendo cioè di investire in azienda i loro ammortizzatori sociali. E’ il fenomeno dei cosiddetti “workers buyout“, che dal 2007 si è rivelato in continua ascesa, portando in regione alla creazione di 56 nuove cooperative e al salvataggio di circa 1.200 posti di lavoro. A Reggio Emilia, la “culla della cooperazione“, dal 2009 sono stati attivati con il sostegno di Legacoop otto progetti, con protagonisti 300 lavoratori.

IL LIBRO “SE CHIUDI TI COMPRO”

Se n’è parlato nei giorni scorsi quando nella città del Tricolore, in un incontro moderato dalla deputata del Pd Antonella Incerti, è stato presentato il libro “Se chiudi ti compro“, redatto a sei mani dal sottosegretario all’Economia Paola De Micheli, Stefano Imbruglia e il collega in Parlamento Antonio Misiani. Romano Prodi ha scritto la prefazione del testo, edito da Guerini e Associati. Il meccanismo del workers buyout, che affonda le sue radici nella legge Marcora degli anni ‘80 varata per facilitare la costituzione di nuove coop, “è vecchio di 30 anni ma ancora oggi attuale“, spiegano gli autori del libro, per almeno due motivi. Per prima cosa il ricambio generazionale nella classe imprenditoriale italiana, ma anche una strada per recuperare le aziende nate nell’illegalità, che una volta sequestrate alla mafia finiscono per lo più per chiudere i battenti.

LE ESPERIENZE DI REGGIO EMILIA


Tornando alle esperienze reggiane la prima è quella della Art lining di Sant’Ilario D’Enza: 12 donne messe all’angolo da scelte imprenditoriali sbagliate, che oggi hanno creato una realtà attiva che produce fodere per cravatte. C’e’ poi la Greslab Ceramiche di Scandiano che, dopo essere rimasta ferma per un’anno e mezzo, è ripartita con 30 lavoratori: oggi ne ha 80 e fattura 20 milioni. Ma c’è anche anche una storia in cui, nel passaggio del timone ai lavoratori, non c’entrano difficoltà economiche. Nella cooperativa Arbizzi di Corte Tegge, il titolare, nonostante l’azienda lavorasse bene, aveva deciso nel 2014 di smettere senza avere ricambio generazionale diretto. Da qui la scelta, rilevatasi poi di successo, di lasciare l’impresa direttamente ai dipendenti. I casi più recenti, di cui uno si concluderà a fine anno, riguardano infine tre rami d’azienda dei colossi cooperativi Coopsette Unieco (finiti in liquidazione) che sono ripartiti.

IL SISTEMA COOPERATIVA PUO’ MOLTIPLICARE LE RISORSE

Daniela Cervi, responsabile dell’Ufficio economico finanziario di Legacoop Emilia Ovest sottolinea come: “Si innesca un meccanismo davvero virtuoso in cui è anche lo Stato, che comunque mette a disposizione gli ammortizzatori sociali, a guadagnarci. Questo perché nascono nuove realtà produttive che generano entrate“. Il “sistema cooperativo- aggiunge Cervi- fa da moltiplicatore di risorse: tanto ci mettono i lavoratori anticipando il loro ammortizzatore sociale, il doppio possono metterci Cfi strumento nazionale partecipato anche dal ministero, Coopfond che è lo strumento di promozione cooperativa e sul nostro territorio Boorea”. Certo, spiega la manager, “Non è la soluzione a tutte le crisi aziendali, in alcuni casi è inutile insistere, perchè sarebbe un accanimento terapeutico che metterebbe a rischio lo stesso ammortizzatore sociale dei lavoratori”.

L’85% DELLE IMPRESE SEQUESTRATE ALLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA CHIUDE

Misiani osserva che “il 5% degli imprenditori italiani ha più di 70 anni, auguri di lunga vita, ma non sempre i loro figli ne seguiranno le orme. Per queste realtà c’è un terreno fertile che si presta all’applicazione dei workers buyout”. Non solo: “L’ 80-85% delle imprese sequestrate alla criminalità organizzata– prosegue il parlamentare- chiudono. In molti casi perché stavano in piedi artificialmente, riciclavano denaro sporco e traevano vantaggi competitivi dalla loro affiliazione alle organizzazioni criminali”. Ma in tanti casi “chiudono per la burocrazia, vengono sequestrate e poi nessuno se ne occupa. La stima più recente parla di 200.000 posti di lavoro in campo e questa è una sconfitta per lo Stato”. Misiani tuttavia sottolinea: “Cfi che è il soggetto attuatore della legge Marcora ha fatto un protocollo con l’Agenzia nazionale che gestisce i beni sequestrati alla criminalità: è un primo passo importante, continueremo ad occuparcene, se possibile anche in quest’ultima parte della legislatura”.

di Mattia Caiulo, giornalista professionista

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