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La neuroscienziata: “Il Covid causa neuroinfiammazione anche quando non colpisce l’organismo”

Quando è alta è alla base di sclerosi multipla, declino cognitivo, Parkinson e Alzheimer

Pubblicato:10-10-2022 16:29
Ultimo aggiornamento:10-10-2022 16:29
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ROMA – Il Covid causa neuroinfiammazione anche quando non colpisce direttamente l’organismo: è questo il risultato di uno studio dell’Università di Harvard, pubblicato su Brain Behavior and Immunity, coordinato dal professor Marco La Loggia ed effettuato presso il dipartimento di Immagini Biomediche del Massachusetts General Hospital. Infatti, se è stato appurato che parti del virus possono attaccare il sistema nervoso e portare a neuroinfiammazione, un fenomeno simile si è verificato “anche in chi ha vissuto le varie situazioni stressanti legate alla pandemia“. A dirlo all’Agenzia Dire è Arianna Di Stadio, neuroscienziata, docente all’Università di Catania e ricercatrice onoraria presso il Laboratorio di Neuroinfiammazione del UCL Queen Square Neurology di Londra.


“Per neuroinfiammazione- ha spiegato la professoressa Di Stadio- si intendono tutti quei fenomeni di infiammazione che riguardano il sistema nervoso centrale o periferico. Entro alcuni range è normale e i sintomi sono banali e passeggeri. Ma alti livelli di neuroinfiammazione sono alla base di alcune patologie, come la sclerosi multipla, e delle fasi iniziali del declino cognitivo, del morbo di Alzheimer e del Parkinson“.


Ma quali sono i fattori che contribuiscono a far alzare eccessivamente i livelli di neuroinfiammazione? “Abbiamo notato che di solito l’eccesso di stress e l’impossibilità di sfogarlo determinano infiammazione. Mentre quando c’è un’attività ricreativa o uno sfogo, la neuroinfiammazione rientra. Contribuiscono alla neuroinfiammazione anche i disturbi del sonno, l’ansia e un’alimentazione sbilanciata“. Tutte condizioni che si sono verificate, in molti casi, nelle fasi più dure della pandemia, quando le informazioni sull’andamento drammatico dei contagi, i lockdown e le forti restrizioni alla vita sociale hanno imposto drastici cambiamenti di abitudini con ricadute sollo stress e sullo stile di vita: “Siamo tutti stati sottoposti a uno stress anomalo, senza la possibilità di fare tutte quelle attività che lo stress lo riducono”, ha sintetizzato Di Stadio.



Non stupisce, quindi, che il 54% dei soggetti partecipanti allo studio abbia riportato disturbi dell’umore, il 36% fatica mentale e il 27% fatica fisica. “È un po’ quello che accade con il disturbo post- traumatico da stress– ha spiegato la neuroscienziata- È stato osservato che anche soggetti non direttamente coinvolti possono riportarne i sintomi. Per esempio, persone che al momento di un attentato si trovavano in città, ma lontani dal luogo dell’attacco, possono riportare sintomi riconducibili a un trauma”.

Per quanto riguarda la neuroinfiammazione, Di Stadio ha sottolineato l’importanza di una “alimentazione bilanciata e ricca di omega 3” e dell’attività fisica: “Deve essere costante e regolare- ha detto- ma non eccessiva”. Infine, l’utilizzo appropriato dei farmaci, “evitando l’abuso di antibiotici e medicinali“, ha concluso.

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