di Antonio Bravetti e Alfonso Raimo, giornalisti professionisti
ROMA – La mattina in piazza del Popolo. Il pomeriggio davanti a Montecitorio. La rivoluzione del generale Pappalardo non conosce soste. Al massimo un pit stop in ospedale. L’ex deputato del Psdi transita al Santo Spirito per accertamenti intorno a mezzogiorno. Fino a pochi minuti prima era in piedi su un pick up parcheggiato a piazza del Popolo, microfono in mano e bandiere italiane al vento. Ad arringare le ‘truppe’, duecento persone “arrivate da tutta Italia, dal Trentino alla Sicilia“. A promettere: “Oggi faremo tremare i palazzi“. Tra tricolori sbiaditi, altoparlanti gracchianti e berretti colorati, più una sagra di paese che l’assalto alla Moncada. Ma la passione, quella, è sudamericana. Mezz’ora di comizio sotto il sole, senza ombra.
Pappalardo è sfiancato, chiede dell’acqua, la beve avidamente, poi perde colore e tono. Fa in tempo ad affidare il microfono a un professore “che vi parlerà dei vaccini”, quindi si affida alle braccia della scorta. Cinque uomini vestiti tutti di nero, rasati, tatuati e con gli occhiali a specchio lo trascinano fino alla fontana della dea Roma, sotto al Pincio. Lo fanno stendere sul bordo del monumento, gli bagnano le tempie, gli massaggiano i polsi, gli rinfrescano il collo. Dopo una decina di minuti, il generale in pensione Antonio Pappalardo si alza in piedi, sale su una piccola auto elettrica che rapidamente lascia la piazza. Direzione l’ospedale Santo Spirito.
E’ solo una pausa nella marcia del baffuto generale verso il Palazzo, che si materializza quando in aula a Montecitorio il governo autorizza la fiducia sulla legge elettorale. Al posto dei manifestanti Cinque Stelle, che in mattinata avevano animato un sit in di protesta, ci sono ora le ‘truppe’ di Pappalardo. E lui in piedi, sulle ringhiere, a gridare a squarciagola lo sdegno “contro gli abusivi da cacciare a pedate”.
Al confronto, i toni che Roberto Fico e Luigi Di Maio avevano usato qualche ora prima, ora diventano improvvisamente dialoganti. Se gli M5s chiamano gli elettori a scendere in piazza contro la porcata del rosatellum, il “popolo sovrano” di Pappalardo contro il “regime porco”, in mano a politici “ladri e cialtroni” che sono tutti “collusi con la mafia“, c’è già. Una differenza di toni e tempi di cui fa le spese Alessandro Di Battista. Convinto di trovare in piazza i suoi sostenitori, Dibba invita a fare fronte comune contro il rosatellum. “Ma che ce ne frega del rosatellum?”, sbotta invece il generale. “Questi sono tutti abusivi. E noi li cacceremo“.
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