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Città metropolitana di Roma contro la Regione: “Discarica di Albano, mancano gli studi sui contaminanti”

La Regione non avrebbe fornito gli studi sulla fonte e sull'estensione della contaminazione dei parametri inorganici

Pubblicato:10-08-2021 14:37
Ultimo aggiornamento:10-08-2021 14:37

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ROMA – È tutto meno che chiaro il destino ambientale dell’area che ospita la discarica di Albano. Da una parte mancano certezze su un’eventuale causa naturale (legata alla natura vulcanica dei Colli Albani) da cui potrebbero scaturire i superamenti dei parametri dei contaminanti inorganici (arsenico, fluoruri, ferro, manganese, alluminio, piombo e nitriti) e dall’altra sono ignoti il punto di partenza e l’area della contaminazione dei parametri inorganici (dicloropropano, tribromometano, dibromoclorometano, benzene, composti alifatici clorurarati e alogenati). Elementi che la Regione Lazio avrebbe dovuto rendere noti. Ne è convinta la Città Metropolitana di Roma che punta il dito contro l’ente guidato da Nicola Zingaretti e mette nero su bianco tutte le lacune in uno dei documenti prodotti al Tar Lazio per rispondere ai chiarimentri richiesti dal Tribunale, nell’ambito del ricorso presentato dal Comune di Albano contro le ordinanze di metà luglio attraverso le quali la sindaca Virginia Raggi decideva la riapertura del VII invaso chiuso dal 2016.
“In conclusione, si evidenzia che, nonostante l’avvio del procedimento di bonifica risalga al 2012, ad oggi la Regione Lazio non ha ancora realizzato studi, di sua specifica competenza, finalizzati a chiarire- si legge- la possibile origine naturale dei superamenti dei parametri inorganici, e ad individuare con certezza la fonte e l’estensione della contaminazione dei parametri organici”.

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Inoltre la Regione “non ha preso in carico il procedimento di bonifica, di competenza regionale per l’ambito sovracomunale interessato, così che non risultano ancora avviate le fasi di caratterizzazione del sito e del procedimento di bonifica. Si concorda, pertanto, con quanto rappresentato da Arpa Lazio nella citata relazione di sopralluogo, che ‘appare necessario chiarire lo stato dell’iter del procedimento di bonifica ed individuare in modo definitivo le azioni da intraprendere tenuto conto del tempo trascorso dal suo avvio e dei risultati dei campionamenti che anche recentemente hanno confermato superamenti delle Csc (concentrazione della soglia di contaminazione, ndr)'”.


Nel 2017 il servizio Gestione rifiuti della ex Provincia di Roma “evidenziava che tutti gli enti coinvolti concordavano sulla possibile attribuzione dei superamenti da sostanze inorganiche al fondo naturale e chiedeva alla Regione di avviare le indagini per l’accertamento di tale ipotesi, nonché di riavviare e aggiornare il procedimento di bonifica ai sensi del titolo V della parte IV del D. Lgs. 152/2006 in considerazione dell’estensione sovracomunale- si legge ancora- La Regione Lazio non dava alcun riscontro né avviava il procedimento di bonifica, ma nel 2019 con determinazione G14894 del 31/10/2019 volturava l’autorizzazione della Pontina Ambiente alla soc. Colle Verde Srl per la parte relativa al solo impianto di trattamento meccanico biologico senza peraltro menzionare in tale provvedimento il procedimento di bonifica in corso”. Nel 2020 “gli enti interessati (Arpa Lazio, Comune di Albano e Città metropolitana di Roma Capitale), vista l’inerzia della Regione, hanno chiesto ad essa- continua il documento-chiarimenti in merito all’affidamento dello studio sui valori di fondo all’IRSA-CNR, alla valutazione dei superamenti accertati nell’ambito dell’istruttoria di voltura dell’Aia alla soc. Colle Verde Srl., e contestualmente hanno sollecitato la ripresa dell’iter del procedimento di bonifica spettante alla Regione data l’estensione sovracomunale. Nonostante i ripetuti solleciti nessuna azione risulta avviata dagli uffici regionali fino alla data odierna”.

In attesa di capire i motivi dei continui superamenti di alcuni inquinanti, la Città Metropolitana ha lanciato un allarme non di poco conto: “I frequenti superamenti da metalli pesanti e da solventi clorurati, rinvenuti anche in acque sotterranee ad uso irriguo di comuni limitrofi, impongono la massima cautela: l’elevata tossicità e persistenza di elementi come l’Arsenico e la cancerogenicità, mutagenicità e genotossicità dei composti organoclorurati, molti dei quali sono elencati tra gli inquinanti ‘prioritari’ dell’allegato X della Direttiva 2008/105/CE, destano preoccupazione per il possibile rischio di contaminazione della catena alimentare (irrigazione foraggio e/o prodotti ortofrutticoli, abbeveraggio bestiame) e conseguente impatto sulla salute umana”.

A fronte di questo “la Città metropolitana, tenendo conto delle criticità sopra evidenziate e della pericolosità delle sostanze rilevate nelle acque sotterranee nell’area della discarica, ha incaricato Arpa Lazio, al punto 6 dell’ordinanza impugnata, ‘di monitorare, con periodicità mensile, per tutto il periodo di operatività della discarica per effetto della presente ordinanza e per i successivi 12 mesi, la falda in tutti i piezometri presenti nell’impianto descritti negli allegati dell’Aia vigente, per i parametri indicati nel PMeC e per i solventi clorurati, con relativa speciazione, trasmettendone i risultati alla CmRC, al Comune di Albano, al Comune di Roma ed alla Regione Lazio”.

Una misura che secondo Città Metropolitana è “altamente cautelativa e idonea a verificare tempestivamente eventuali variazioni dell’andamento delle suddette sostanze pericolose a seguito della riattivazione della discarica” considerato che ” normalmente la Regione Lazio nel rilascio di A.I.A. per impianti di gestione rifiuti prescrive il monitoraggio delle matrici ambientali, comprese le acque sotterranee, con cadenza trimestrale”.

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