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ROMA – L’Italia, che ha inaugurato la riapertura dal lockdown all’insegna della prudenza, poggia le basi della fase 2 sulla ripartenza delle attivita’ produttive e sulla capacita’ di resistenza dell’istituzione ‘famiglia’, individuata dal Governo come unico nucleo sociale riconoscibile grazie alla parola ‘congiunti’, che ha suscitato un vespaio di polemiche e ilarita’ da parte del popolo del web. Pilastro della riorganizzazione familiare, le mamme, lavoratrici e non.
Senza scuola per i figli spesso si sono dovute reinventare assistenti informatiche alla Dad (Didattica a distanza), insegnanti o compagne di giochi, in un effetto moltiplicatore di stress h24 in cui sono finite ‘le faccende domestiche’, la spesa, i pranzi, le cene e gli spuntini, da conciliare col lavoro fuori e dentro casa – per quelle che sono riuscite a non perderlo – in una divisione dei compiti con mariti e compagni spesso impari per dinamiche estranee alla buona volonta’ della coppia.
Le mamme, celebrate come ogni anno nella seconda domenica di maggio, saranno forse tra le donne che pagheranno piu’ cara la ripartenza a scuole chiuse. Con la fase 2 dal 4 maggio, secondo uno studio della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, 4,4 milioni di cittadini sono tornati al lavoro: solo 1 milione e 100mila sono donne (25,2%).
Effetto della ripartenza delle industrie dove ci sono meno occupate, certo, e forse anche del fatto che moltissime sono impiegate nei settori che non si sono mai fermati (in base alle stime della direttrice di Istat, Linda Laura Sabbadini, “quasi i due terzi delle occupate”, ndr). Ma se 3,3 milioni di uomini dal 4 maggio sono di nuovo al lavoro chi si sta occupando dei loro bambini? E come le madri lavoratrici stanno riorganizzando la loro routine tra bonus baby sitter e congedi speciali? Aiuti economici che il Governo ha intenzione di raddoppiare nel decreto maggio, oggi decreto rilancio, in un’impalcatura sociale di riferimento che pero’ non cambia e a volte comprende, in mancanza di alternative, anche i nonni.
Ilaria ha 38 anni e due bambini, di 6 e un anno mezzo, una carriera avviata in Avio come responsabile dell’area formazione e sviluppo grazie a precedenti esperienze nel settore, una laurea in Sociologia, una specializzazione in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni e un master in Gestione delle risorse umane, mentre e’ in cantiere una seconda laurea in Psicologia clinica. Dall’inizio dell’emergenza coronavirus lavora a distanza da casa come tutti i dipendenti non addetti alla produzione. “Anche mio marito lavora in Avio- racconta all’agenzia di stampa Dire Ilaria- ci siamo un po’ divisi la giornata, anche se lui ha continuato ad andare in azienda. Ho cercato di mantenere una routine, soprattutto per i bambini. Quindi ci svegliamo come se dovessimo andare a scuola, facciamo colazione, ci laviamo e ci vestiamo. Quando loro fanno colazione- continua- io inizio a lavorare, molto presto, poi mi fermo, li faccio giocare un po’, e, quando il piccolo si addormenta, il piu’ grande, all’ultimo anno di materna, fa delle schede, mentre io continuo a lavorare fino alle 11,30. Poi quando si sveglia il piccolo stacco, li faccio giocare e pranziamo. Il primo mese e’ andata avanti cosi’ anche il pomeriggio”. Qualcosa cambia a partire da aprile, quando “grazie al bonus baby sitter una ragazza viene a darci una mano il pomeriggio. So bene che e’ un rischio- sottolinea Ilaria- ma ce lo siamo preso, adottando tutte le misure precauzionali, e mi sta aiutando a portare avanti le mie attivita’. Senza sarebbe estremamente difficoltoso, perche’ non si tratta di un lavoro di backoffice”. La baby sitter “rimarra’ con noi fino a luglio, quando tornera’ quella storica che in questi mesi non poteva perche’ doveva seguire i figli nella didattica a distanza”. Di congedi parentali Ilaria col marito non hanno usufruito “perche’ ero in smart working e sono riuscita a mantenere la mia attivita’ lavorativa, anche se non nelle 8 ore continuative. Ci sono stati momenti di crisi- racconta- perche’ avevo delle scadenze, dovevo consegnare dei documenti, sentire delle persone e mio marito era al lavoro, ma poi ce l’ho fatta. Ho anche scritto un progetto per la Regione Lazio con mio figlio in braccio”. Uno smart working che “in realta’ non lo e’- osserva la responsabile formazione di Avio- perche’ un conto e’ lavorare da sola a casa a distanza, un altro e’ farlo coi figli che hanno le loro esigenze”. La cosa che e’ pesata di piu’ a questa giovane mamma “e’ stata la non liberta’ dei bambini, abituati a vedere i loro amichetti e ad avere, come noi, una vita frenetica che di colpo si e’ fermata. Noi avevamo la nostra quotidianita’, ma loro no, per quanto tu puoi cercare di creargliela”. Quegli stessi bambini che a settembre dovranno tornare tra i banchi, ma in quale scuola? “Come mamma sono preoccupata per mio figlio di 6 anni- confessa Ilaria- perche’ non si sa in che modo dovra’ iniziare il nuovo ciclo delle elementari e questo mi mette ansia, anche perche’ mio marito spesso e’ in trasferta e da settembre saro’ da sola. Come fa una donna che lavora con due bambini se lo Stato non le da’ un aiuto dal punto di vista sociale? Va bene il sostegno economico, che per me e’ stato utilissimo- conclude Ilaria- ma non e’ sufficiente, anche se e’ tanto”.
Agnese ha 36 anni e un bambino di 3, una laurea e un dottorato in biologia, un diploma di conservatorio in violino e un lavoro precario come insegnante di Matematica e scienze alle scuole medie. Il suo carico di lavoro con la didattica a distanza (Dad) e’ cresciuto “di circa due ore ogni giorno, dilatandosi anche al sabato e alla domenica, all’inizio si era triplicato”, come racconta questa mamma all’agenzia di stampa Dire. “Per realizzare una videolezione per una materia scientifica non puoi parlare e basta- spiega- Sulla piattaforma io costruisco dei PowerPoint e spiego il procedimento come se stessi alla lavagna. Poi ci sono la correzione e la restituzione dei compiti, la partecipazione a videoconferenze e corsi. Non c’e’ piu’ un orario lavorativo, sono sempre collegata anche con WhatsApp o con le email e, dovendo rispettare queste scadenze, spesso devo sacrificare mio figlio, che passa molto piu’ tempo davanti a tablet e tv, anche se prima ho sempre cercato di evitarlo”. Il “grande problema”, per Agnese, e’ iniziato con la fine della fase 1. “Mentre prima mio marito era fuori per lavoro solo la mattina e il pomeriggio si occupava lui di nostro figlio, ora e’ fuori tutto il giorno e il bambino devo gestirlo da sola. È capitato che dopo un’ora di tv si stancasse e mi chiedesse di giocare con lui mentre facevo lezione in collegamento con la classe- racconta- Piu’ di qualche volta ho dovuto farla con lui in braccio”. Per ora Agnese e il marito hanno deciso di non usufruire del bonus baby sitter, ne’ di prendere congedi “e anche se so che il contatto con i nonni dovrebbe essere limitato, preferisco gestire la cosa in famiglia- sottolinea- Io non sono tra quelli che vogliono criticare le misure del Governo, anzi, credo che siamo tra gli Stati che hanno agito abbastanza bene”. Una cosa, pero’, confessa Agnese, “mi e’ dispiaciuta: le tante persone che ci accusano di prendere lo stipendio pieno senza fare nulla a casa. Non viene percepito cosa significa cercare di fare al meglio l’insegnante a distanza. Io l’ho fatto come se fosse il mio lavoro fisso- conclude la docente- non ho pensato che sono precaria e mi sono data anima e corpo per garantire la massima continuita’ con il passato, anche a spese del rapporto con mio figlio, che comunque vedendomi a casa per fortuna non ha vissuto la quarantena in modo negativo”.
Maria Carmen, 41 anni, mamma di una bimba e un bimbo di 8 e 5 anni, non ha mai smesso di andare al lavoro. Operatrice socio sanitaria (oss) in una struttura socioriabilitativa residenziale per persone con gravi disabilita’ da quando e’ iniziata l’emergenza coronavirus e le scuole sono state chiuse, si alterna nei turni col marito, anche lui oss in un ospedale. “Se io lavoro al mattino lui lavora nel pomeriggio, cosi’ riusciamo a passarci i bambini tra un turno e l’altro- racconta all’agenzia di stampa Dire- Andare a fare la spesa e’ diventato molto complesso perche’ abbiamo un solo giorno di riposo a settimana”. Il risultato e’ che “non stacchiamo piu’- continua Maria Carmen- Quando torno dal lavoro ci sono i bambini che sono pieni di energia e vogliono giocare. Al bonus baby sitter abbiamo pensato- continua- ma non credo sia cosi’ facile trovarne una disposta a stare in una famiglia dove lavorano due persone chi in ospedale chi in struttura sanitaria. In generale mi sento una privilegiata, perche’ non ho vissuto situazioni di emergenza”. Piu’ esposto al contagio da Covid-19, il personale sanitario spesso e’ costretto ad affrontare, oltre alla propria, anche la paura degli altri, e a gestire, come Maria Carmen, “disabili gravi che non possono vedere i loro parenti e soffrono di lontananza”. La loro gestione “all’interno della struttura- confessa l’oss- e’ piu’ difficile ed e’ difficile da mantenere la distanza sociale, perche’ li devi alzare dal letto, lavare, vestire”. Un lavoro portato avanti con passione e dedizione da Maria Carmen che in questi mesi ha interamente dedicato il resto del suo tempo ai figli. “La mia bimba frequenta la terza elementare, ma di Dad ne fa davvero poca, due volte a settimana per un’ora- racconta- Lei riesce a gestire la videochiamata da sola su Google Meet, resta in videolezione con i suoi compagni e la sua maestra, poi noi dobbiamo stare dietro a Classroom per i compiti e le correzioni. Il piccolo invece e’ all’ultimo anno della materna e ha perso i mesi importanti della pre-scuola”. In due mesi di turni lavoro-bambini, che non hanno risparmiato nemmeno il periodo di Pasqua, “ho fatto richiesta di tre giorni di congedo parentale al 50% e ho staccato un po’- aggiunge- Mio marito non l’ha preso perche’ nel suo settore sono pochissimi. Siamo stati un po’ trascurati da parte dello Stato- conclude mamma Maria Carmen- Si poteva provare ad aprire le scuole e far andare meta’ classe la mattina, meta’ il pomeriggio, per vedere se il sistema funziona. Ho colleghe che in questo periodo hanno rischiato, portando i propri figli dai nonni perche’ non avevano alternative. Ci passano l’intera giornata e in casa coi bambini non ci puo’ essere distanziamento sociale. Non e’ una contraddizione?”.
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