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In Emilia-Romagna il 60% dei posti di lavoro persi sono di donne

La crisi legata alla pandemia pesa il doppio sulle quote rosa: in regione sono in maggioranza le donne ad aver perso l'impiego, ad aver aderito allo smart working e ad aver richiesto bonus baby sitter e congedi parentali

Pubblicato:10-03-2021 14:11
Ultimo aggiornamento:10-03-2021 14:11

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BOLOGNA – La crisi legata alla pandemia pesa il doppio sulle spalle delle donne rispetto agli uomini. L’ennesima conferma arriva dal rapporto stilato dalla Regione Emilia-Romagna sull’impatto che l’emergenza Covid ha avuto sull’occupazione femminile nel 2020. Un focus, presentato oggi dall’assessore alle Pari opportunità, Barbara Lori, da cui risulta che “la maggiore contrazione occupazionale si sia verificata nel secondo trimestre (aprile-giugno 2020) ed è direttamente influenzata dal lockdown”. Il calo degli occupati riguarda soprattutto lavoratori a tempo determinato nel settore dei servizi, per la maggior parte donne. Nel secondo trimestre 2020 gli occupati in regione sono stimati in un milione e 988.000, cioè 68.000 in meno (-3,3%) rispetto allo stesso periodo del 2019 e 26.000 in meno rispetto al primo trimestre 2020.

Dal punto di vista di genere il bilancio è pesantemente negativo per le occupate: sui 68.000 occupati in meno ben 52.000 sono donne (-5,6%) e di queste oltre 42.000 erano occupate nei servizi. Tra marzo e giugno, inoltre, si sono perse oltre 37.000 posizioni dipendenti, di cui oltre 22.000 femminili, pari al 60%. La riapertura delle attività ha poi comportato una ripresa dell’occupazione nel terzo trimestre del 2020, con un recupero del 53,7% delle posizioni di lavoro dipendente perdute nel periodo precedente, in misura più favorevole per le donne (+14.000) che per gli uomini (+5.000). Ma non abbastanza. Andando a guardare infatti i singoli settori, nell’ambito del commercio e dell’accoglienza su 100 posizioni perse 55 riguardano donne, quota che sale a 81 posizioni su 100 perse negli altri servizi.

A marzo e aprile, inoltre, le assunzioni femminili in Emilia-Romagna sono diminuite del 47,1% e del 70,5% per poi far registrare un rimbalzo al riavvio delle attività tra maggio e luglio, con un aumento fra il 33% e il 40%. Nel complesso, su base annua al 30 settembre 2020 la Regione quantifica una diminuzione di 17.000 posizioni dipendenti, di cui 7.000 femminili. Questa perdita, si legge nel report, “è ascrivibile per intero alla contrazione del lavoro a tempo determinato e del lavoro somministrato e ha riguardato per poco meno di 6.000 posizioni rapporti di lavoro part-time”. Per il periodo da ottobre a fine 2020, invece, “attendiamo ancora il dato definitivo- aggiunge Lori- ma sappiamo che c’è stata una ulteriore riduzione e molte donne hanno perso il lavoro”. Non solo. “Tante temono anche di perderlo quando gli ammortizzatori non saranno più disponibili”, sottolinea l’assessore, che parla nel complesso di “quadro preoccupante”.


DIFFERENZE DI GENERE ANCHE NELL’ACCESSO ALLO SMART WORKING

Le differenze di genere si notano anche nell’accesso allo smart working, per effetto della chiusura delle scuole: nei primi mesi della pandemia nel 2020 ha aderito al lavoro agile il 58% delle donne (“Non proprio volontariamente, ma per necessità”) a fronte del 23% degli uomini. Dal report risulta poi che i congedi parentali nel 2020 siano stati chiesti soprattutto dalle donne (27.937 contro 8.285 uomini) così come le richieste di bonus baby sitter sono per lo più a firma di lavoratrici (82.266 in totale contro 36.842 uomini), con una percentuale complessiva di beneficiari su richiedenti che non ha superato il 63%. Dal report regionale emergono dunque “elementi significativi in vista della costruzione di nuove politiche a sostegno delle donne- afferma Lori- che dovremo rafforzare per il futuro”.

Già prima della pandemia in Emilia-Romagna le donne lavoravano fuori casa in media cinque ore di più di quanto accade nel resto del Paese, ma pur sempre in misura inferiore rispetto agli uomini: 25 contro 36 ore settimanali. Mentre il lavoro di cura e domestico continua a restare per lo più sulle loro spalle: 23 contro le 7,38 ore maschili. Nel 2019 il tasso di occupazione per la popolazione di 15-64 anni era del 70,4% e il gap di genere è evidente: dal 64,1% per le donne e al 76,7% per gli uomini. Le donne in part-time erano un terzo del totale (31,7%) contro una percentuale per gli uomini del 7,2%. Per effetto della pandemia, dunque, “tornano ad aumentare le differenze di genere”, si legge nel report della Regione. Ad esempio, “l’aumento del tasso di inattività in Emilia-Romagna è tutto ascrivibile alla componente femminile”.

Nel 2020 la Regione ha investito in tutto 84 milioni di euro in misure straordinarie, compresi i centri estivi, su cui la Giunta Bonaccini sta lavorando anche in questi giorni in vista dell’estate. Nei prossimi mesi, poi, dovrebbero uscire nuovi bandi a sostegno del lavoro delle donne, tra cui uno con un budget da un milione di euro per nuove iniziative di imprenditoria femminile. Per quanto riguarda invece il gap di salario tra uomini e donne, “non abbiamo strumenti diretti per intervenire- spiega Lori- ma lavoreremo perché ci siano tutele in questa direzione, coinvolgendo le rappresentanze sindacali e di chi ha condiviso con noi il Patto per il lavoro”.

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