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Libia, Del Re: “A Palermo nessuna magia, ma la direzione è giusta”

Il viceministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, parla con l'agenzia 'Dire' : "Cooperare, scommettendo sull'Africa"

Pubblicato:09-11-2018 12:38
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:45

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ROMA – “A Palermo non ci saranno ricette magiche né soluzioni predeterminate; faremo però un passo nella direzione giusta, sotto il segno dell’inclusione”: Emanuela Claudia Del Re, viceministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, parla con l’agenzia ‘Dire’ alla vigilia della Conferenza per la Libia. Un appuntamento segnato da focus su sicurezza ed economia, che sarà seguito e rafforzato da un altro incontro, sempre ospitato dall’Italia, con le organizzazioni e le voci della società civile libica. Ultima conferma, sottolinea Del Re, della volontà di puntare su una cooperazione nuova: “Forma fondamentale di politica estera, che superi lo schema tradizionale donatore-beneficiario e punti oggi anzitutto sull’Africa, il continente del futuro”.

Viceministro, a Palermo cosa consentirebbe di parlare di successo?


“La premessa è che vogliamo creare un momento di incontro nel quale la comunità internazionale mostri coesione e sostegno all’azione dell’inviato dell’Onu Ghassan Salamè. Il premier Giuseppe Conte ha già manifestato la soddisfazione del governo per aver ricevuto conferme di alto livello. Sono state fatte consultazioni con stakeholder libici, regionali e internazionali. Io stessa mi sono recata in Libia più volte. Si è voluto dare un approccio globale per ottenere un risultato all’insegna della piena inclusione e dell’ascolto delle istanze libiche. A Palermo non ci saranno ricette magiche o soluzioni predeterminate per la crisi libica. Faremo però un passo nella direzione giusta: l’obiettivo è stabilizzare il Paese, superando lo stallo del processo politico con elezioni che si tengano il prima possibile, quando ci saranno le condizioni amministrative, politiche e di sicurezza. Quello di Palermo, d’altra parte, non è un appuntamento sporadico. È costruito nel solco di tante iniziative, come ad esempio la Conferenza di Parigi del maggio scorso, ed è coerente con gli sforzi dell’Onu per il rilancio del percorso politico. In collaborazione con attori chiave come Francia e Stati Uniti, Egitto e Russia, ci concentreremo sulle dimensioni della sicurezza e dell’economia”.

Quali sono in questi ambiti gli obiettivi specifici?

“La Conferenza sarà utile per consolidare il cessate il fuoco promosso dall’Onu nell’area di Tripoli e per valorizzare il supporto internazionale alla creazione di forze di sicurezza regolari libiche. Lavoreremo poi per la riunificazione delle istituzioni economiche e finanziarie del Paese. In tempi più dilatati è previsto invece un evento dedicato alla società civile libica, che sarà ospitato sempre dall’Italia”.

All’ultimo Comitato congiunto della Cooperazione è stata approvata una dotazione di 70 milioni per i progetti promossi dalle organizzazioni della società civile. Ci sarà molta Africa? Quali saranno le priorità? 

“Faccio una premessa: la novità che sta emergendo a livello globale è che la cooperazione internazionale è la forma fondamentale della politica estera. Credo ne farò un mantra personale. Bisogna usare la cooperazione nell’ottica dell’Agenda 2030, che ha dato a tutti un percorso da seguire. E c’è l’Africa, certo: il fatto di essersi resi conto che merita grande attenzione e che deve diventare il continente del futuro non deve essere un traguardo ma piuttosto un trampolino, che ci dia impulso e slancio. Ora la nostra responsabilità è guardare anche oltre ai Paesi che sono esempio virtuoso, come il Senegal, che hanno instaurato un rapporto con l’Italia pluridecennale, ci hanno offerto una bella migrazione e una diaspora che ha saputo crescere e integrarsi”.

– Bisogna andare al di là dell’emergenza o dei ‘Paesi modello’?

“I dati ci dicono che questo continente crescerà molto, raddoppiando la popolazione in pochi decenni. Oggi gli africani ci chiedono di aiutarli a essere preparati: entreranno in gioco negli equilibri globali, che richiedono giovani preparati”.

Anche attraverso bandi rivolti al settore profit, l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) sta puntando sull’imprenditoria privata e in particolare sulle Pmi. È la linea da seguire?

“E’ una chiave fondamentale. Si sta studiando il rapporto tra profit e no profit e la stessa Aics ha sviluppato strategie per far sì che la cooperazione non sia solo un percorso unidirezionale da donatore a beneficiario ma invece questione di bi-direzionalità: chi propone e chi riceve possono essere entrambi partecipi. C’è allora un appello al contributo delle imprese, che hanno ‘skills’, cioè le capacità necessarie per sviluppare progetti e coinvolgere le popolazioni locali investendo in risorse umane. Ho visto il valore del loro contributo quando mi sono recata in Paesi in difficoltà, come l’Albania, dove gli investimenti dopo la caduta del regime comunista hanno portato grandi benefici”.

Da alcuni mesi si attende la nomina del nuovo direttore dell’Aics. È un passaggio rilevante per il rilancio anche politico dell’Agenzia? Ha notizie rispetto all’iter di selezione dei candidati e rispetto ai tempi di una scelta?

“Il concorso si è sviluppato in un periodo in cui c’è stato un cambio di governo e questo decisamente ha rallentato un po’ i tempi. Si sono insediate nuove persone, tra le quali io stessa. Sono però partiti i bandi per le ong e stanno partendo altre iniziative. Questo rallentamento non fa piacere a nessuno ma andrà a risolversi in tempi brevi. Credo a ogni modo che sia dovuto principalmente a questo cambio di governo, a una questione di tempi tecnici”.

Il tema dei migranti è al centro del dibattito e anche delle polemiche politiche in Italia. Il 15 dicembre a Milano si terrà il Summit delle diaspore, un appuntamento finanziato dalla Cooperazione italiana, che vuole anche contrastare una narrazione tutta al negativo. Che risultati si aspetta?

“Sono orgogliosa di partecipare a questa iniziativa fondamentale di incontro, che dà la possibilità di discutere faccia a faccia temi pregnanti. La presenza degli stranieri, il rapporto con i Paesi di origine, il ruolo delle diaspore nella capacità di trasmettere rimesse sociali e non solo rimesse economiche sono questioni da affrontare con un dialogo aperto e franco. Dobbiamo essere tutti al passo con i tempi, mantenere il ritmo della storia, che è molto incalzante e ci dice che i continenti come l’Africa avanzano e meritano tutta la nostra attenzione e il nostro investimento. Nel caso delle diaspore ci troviamo di fronte a uno strumento fondamentale di integrazione con un contributo grande di energia, capacità e – non dimentichiamolo – esperienza. Una volta una signora mi disse: ‘Sono già passata per l’emigrazione, so di cosa parlo’. È una frase che mi ha cambiato la vita. La migrazione non è solo qualcosa che accade; è compenetrante, trasforma le persone”.

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