ROMA – Fa stranissimo dirlo, forse anche pensarlo: la nazionale palestinese di calcio scende in campo stasera. La squadra allenata da Ehab Abu Jazar affronta l’Algeria in trasferta nella prima di due amichevoli (la prossima si giocherà lunedì), entrambe allo Stadio 19 maggio 1956 di Annaba.
Ventidue giocatori convocati, che si sono salvati dalla guerra giocando all’estero: in Qatar, Libia, Egitto, Libano, Giordania o Emirati Arabi Uniti, la maggioranza; ma anche in Europa, alcuni. Uno, Ahmad Taha, gioca nella seconda divisione israeliana. Si incontrano in luoghi diversi per allenarsi e hanno una sorta di base… in Cile, dove vive la più grande comunità palestinese del pianeta al di fuori del mondo arabo. “Lo sport in Palestina non è un lusso… ma una forma di determinazione”, si legge in un comunicato diffuso dalla Federazione intitolato “La guerra di sterminio: due anni dopo la paralisi dello sport palestinese”. Il comunicato riassume la situazione spiegando che “dopo che gli stadi sono stati trasformati in campi di macerie e la comunità sportiva ha perso centinaia di martiri, tra cui giocatori, allenatori e dirigenti, i tornei sono stati cancellati, i campionati sospesi e gli allenamenti interrotti”.
La più recente delle “violazioni” infrastrutturali ha comportato il lancio di “gas lacrimogeni e bombe assordanti contro la sede della Federcalcio palestinese nella città di Al-Ram”. Nei due anni di guerra è stata documentata “la morte di oltre 949 atleti, tra cui 467 calciatori”. Tra questi, Suleiman Al-Obeid, ex giocatore della nazionale noto anche come il “Pelé palestinese”.







