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ROMA – Quella di Pier Luigi Bersani e della minoranza del partito di votare ‘no’ al referendum, decisione espressa alla vigilia della direzione Pd che doveva essere di apertura e soluzione, è “una scelta penso motivata da altro”. Lo dice Dario Franceschini, ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, a ‘L’Intervista’ di Maria Latella su SkyTg24, spiegando che “si sta usando il tema referendario per contrastare Renzi“. Quindi si rischia la rottura? “Davvero mi dispiace e sono addolorato per la scelta di Bersani- dice Franceschini- intanto perché la minoranza Pd per mesi ha detto che per votare ‘sì’ serviva la modifica dell’Italicum“, sulla quale Matteo Renzi ha aperto, quindi ora questa disponibilità c’è ma “alla vigilia, senza aspettare la direzione di domani, si decide di votare ‘no'”. Il fatto è, prosegue il ministro, che “dentro e fuori il Pd si sta usando il tema referendario per contrastare Renzi”, il quale “ha fatto tanti cambiamenti ed è naturale ci sia chi non le condivide”, ma “per gli esponenti del partito ci sono le primarie per sfidare Renzi, e le elezioni politiche“. Quindi, dice Franceschini, “è strano che alla vigila delle modifiche arrivi l’annuncio del ‘no'” ma “purtroppo si sta usando il referendum, la cosa più importante che abbiamo. davanti, per uno scontro interno al Pd”.
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La mossa di Pier Luigi Bersani di anticipare, alla vigilia della direzione Pd di domani, di annunciare il suo ‘no‘ al referendum “lacera il partito“, dice ancora Franceschini. “Davvero mi dispiace e sono addolorato per la scelta di Bersani”, ripete Franceschini, il presidente del Consiglio e segretario Pd Matteo Renzi “ha detto che in direzione le modifiche all’Italicum erano al centro della riunione con la disponibilità a modifiche”, quindi “è una scelta motivata da altro”, per “andare contro Renzi”.
Rispetto alle posizioni anticipate oggi da Pier Luigi Bersani per un ‘no’ al referendum “spero ci sia spazio per ripensarci e che le decisioni anticipate oggi possano rientrare a fronte di quello che è stato chiesto” dalla minoranza Pd “per mesi”, dice ancora Franceschini. Per il ministro dei Beni culturali, non si può “votare no a una riforma votata in Parlamento senza una ragione politica” e “i voti finali sulla riforma costituzionale sono stati dati a favore quando l’Italicum era già legge”.
Il referendum “è la cosa più importante che abbiamo davanti”, perché se vince il no “vince in piena legge di Stabilità, quindi ripercussioni immediate, tanto è vero che all’estero ti chiedono cosa succederà in Italia”, perché “ci saranno delle conseguenze immediate”. Questo “perché è chiaro che dopo la Brexit, alla vigilia delle elezioni tedesche e francesi” si rischierebbe di “vedere l’Italia cadere nell’ingovernabilità”, quindi “a parte le conseguenze sul governo, penso che dovremmo pensare a quello che succederà nei prossimi anni”, dice il ministro Franceschini. “Bocciata questa riforma non e’ che tra due mesi ne fai un’altra, per dieci anni non ne fai più”, aggiunge.
di Roberto Antonini, giornalista professionista
“È in corso un processo di manipolazione: si vuole colpire il governo Renzi usando il referendum. Le questioni di merito, quindi, non interessano più a nessuno e si uniscono le tesi di persone che hanno visioni politiche contrapposte. Così, si ritrovano a braccetto Brunetta con Zagrebelsky e Grillo con Salvini“. Lo dice Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Affari esteri del Senato, in un’intervista a ‘Il Giornale di Sicilia’. Casini, con i ‘Centristi per il Sì’, sostiene che “serve un disegno ‘per’ e, invece, vedo troppi disegni ‘contro'”. Nel merito, spiega Casini, “è una riforma semplicissima che, innanzitutto, consente di superare il bicameralismo perfetto. In nessun Paese occidentale esistono due Camere che hanno esattamente le stesse competenze, le stesse attribuzioni, come in Italia. Inoltre, si mette ordine nel rapporto tra Stato centrale e Regioni in modo da evitare che, ad esempio su dossier importantissimi come quelli energetici, una Regione possa bloccare le scelte del governo”. Ancora, “si abolisce il Cnel, il Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro. Nessuno ha capito cosa fa, tranne appaltare un po’ di studi che magari sono interessanti ma per i quali non serve certo un organo costituzionale”. Secondo Casini, infine “un successo del ‘no’ sarebbe un pessimo segnale dopo trent’anni di tentativi abortiti di riforme istituzionali. Grave se l’Italia dimostrasse di essere un Paese irriformabile”.
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