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Perché ci ricorderemo tutti dov’eravamo quando è morta Elisabetta II? La psicoterapeuta spiega l’effetto ridondanza

Silvana Quadrino: "Quando avviene un evento di questa portata se ne parla talmente tanto da fissarne il ricordo nella nostra dimensione spazio-temporale"

Pubblicato:09-09-2022 15:21
Ultimo aggiornamento:09-09-2022 15:21

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ROMA – L’assassinio del presidente Kennedy, lo sbarco sulla Luna, l’attentato terroristico alle Torri gemelle o, per stare alla storia di casa, la strage di Capaci. Tutti, o almeno gran parte di noi, ricordano perfettamente dov’erano e cosa stavano facendo quando hanno appreso una di queste notizie. E in molti domani, così come tra dieci o vent’anni, ricorderanno dov’erano e cosa stavano facendo ieri, quando è stata annunciata al mondo la morte della regina Elisabetta II.

Ma perché, pur essendo avvenimenti che viviamo soltanto indirettamente e di riflesso, si fissano così tanto nella memoria collettiva diventando parte dei nostri ricordi personali? “La nostra mente cerca sempre di collocare gli eventi in una dimensione spazio-temporale, è un meccanismo che appartiene agli eventi significativi della nostra vita, così come a quelli che ci colpiscono in modo particolare- spiega la psicoterapeuta Silvana Quadrino– nel caso della morte di un personaggio famoso o di un avvenimento di portata mondiale, c’è un effetto ridondanza ossia di quell’ evento si parla talmente tanto che questo fissa il ricordo nella nostra dimensione spazio-temporale. L’avvenimento entra a far parte della nostra memoria e di quella di un numero di persone estremamente grande per cui il ricordo diventa indimenticabile”. Quelli che di solito restanto, infatti, “sono i ricordi reiterati, ossia ciò che viene ripetuto e commentato più volte”, spiega Quadrino.

MEMORIA COLLETTIVA ED EMOZIONI PRESCRITTE

’“Cinquantanove anni fa, quando è stato ucciso Kennedy, io ero in una buia aula d’università in attesa della lezione di Pedagogia- ricorda la psicoterapeuta- ad un certo punto entrò il nostro professore e ci disse che avevano sparato al presidente. Ce lo disse in modo asettico, senza caricare la notizia di emozioni, probabilmente per non ‘inquinare’ l’effetto che avrebbe avuto su di noi. E ricordo, infatti- continua Quadrino- che restammo in silenzio e commentammo la cosa solo una volta usciti dall’Ateneo. Oggi, invece, le emozioni circolano subito sui social, vengono scritti fiumi di commenti istantanei e questo ha un effetto omologante, sembra quasi che le emozioni vengano prescritte, e chi non è abituato a riflettere sul proprio stato d’animo finisce con l’assorbire le emozioni della maggioranza”.
Dunque “non solo viene diffuso l’avvenimento ma lo si fa caricandolo di un grande apporto emotivo, quindi anche chi non era particolarmente legato a quel determinato personaggio si sente in dovere di partecipare ai commenti esprimendo la propria emozione”, conclude Quadrino.


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