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Cambiare il mondo a 25 anni da Pechino: ecco le proposte delle femministe

Si chiama 'Il cambiamento che vogliamo', il documento presentato a 25 anni dalla storica Conferenza delle Donne di Pechino

Pubblicato:09-07-2020 11:55
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:37

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https://youtu.be/r3ZS-nNlbKo

ROMA – Cambiare l’Italia e il mondo, combattendo le disuguaglianze, a partire dalle proposte delle donne contenute in un Position Paper di sette punti redatto da un gruppo eterogeneo di associazioni femminili e femministe, ong ed esperte coordinate dalla rete nazionale dei centri antiviolenza D.i.Re. Si chiama ‘Il cambiamento che vogliamo‘, il documento presentato in videoconferenza streaming dalla sede nazionale dell’Agenzia di stampa Dire a 25 anni dalla storica Conferenza delle Donne di Pechino, che doveva essere celebrata a New York nel marzo 2020 nella 64esima sessione della Commissione delle Nazioni Unite sulla condizione delle donne, cancellata a causa della pandemia. Proprio nell’ottica di ricostruire una società e un’economia post-Covid più eque, le donne tornano a prendere posizione e a far sentire la propria voce con proposte finalizzate a “contrastare le disuguaglianze sociali, economiche e di genere, sempre più profonde”, evidenziando “il fallimento (accentuato dalla crisi della pandemia) dell’attuale sistema economico e politico”. Sette i punti in cui si articola il documento, a ricalcare lo schema di raggruppamento delle 12 aree critiche della Conferenza di Pechino proposto dalle Nazioni Unite agli Stati per rendicontare i progressi compiuti dopo 25 anni, sottolineando le interconnessioni di quella piattaforma d’azione con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. 

Il primo, ‘Sviluppo inclusivo, crescita condivisa e lavoro dignitoso’; il secondo, ‘Povertà, protezione sociale e servizi sociali’; il terzo, ‘Violenza maschile contro le donne’; il quarto, ‘Partecipazione, accountability e istituzioni gender-responsive’. E ancora: il quinto punto ‘Società pacifiche e inclusive’; il sesto, ‘Protezione, conservazione e rigenerazione dell’ambiente’; infine, il settimo punto, ‘Istituzioni e meccanismi per l’uguaglianza di genere’. 


Oltre a D.i.Re, queste le realtà promotrici del Position Paper: Actionaid, Aidos, Agemi, Amnesty International, Attivamente Coinvolte, BeFree, Casa delle Donne di Viareggio, Casa delle Donne di Bologna, cav ‘Roberta Lanzino’, Centro Veneto Progetti Donna, Cgil, Coordinamento Donne Trento, Cospe, Commissione Pari Opportunità Fnsi, DonnexDiritti, Demetra-Donne in aiuto, Differenza Donna, Donne in Quota, Donne in nero-Stop al militarismo, Cpo, Escapes laboratorio di studi critici sulle migrazioni forzate, Effe rivista femminista, Fish, Forum-Associazione Donne Giuriste, Giudit-Giuriste d’Italia, Giulia Giornaliste, Iniziativa Femminista, Ladynomics, Associazione Nondasola, LeNove studi e ricerche sociali, Orlando-Centro delle Donne di Bologna, Pro Choice, Scosse, Se Non Ora Quando-Torino, Associazione Il Progetto Alice, cav Vivere Donna onlus. Hanno aderito al documento: Ande-Associazione nazionale donne elettrici; Aoi-Associazione delle ong italiane-Cooperazione e solidarietà internazionale; Arci Nazionale; Aspettare stanca; Casa internazionale delle donne-Roma; Centro di documentazione e informazione sulla salute di genere-Brescia; Centro di Women’s Studies ‘Milly Villa’ dell’università della Calabria; GenPol-Gender & Policy Insights-Cambridge (UK) e Napoli; Noi Rete Donne; Telefono Rosa Piemonte-Torino; Uil-Coordinamento pari opportunità; Terni Donne-Casa delle donne di Terni; Network Italiano Salute Globale; Amica-Associazione medici italiani contraccezione e aborto; WAVE – Women Against Violence Europe; Step Up! Campaign – WAVE.


LAVORO: WELFARE, REVISIONE CONGEDI E LOTTA A MOLESTIE

Aumento della partecipazione al lavoro produttivo, modifiche alle condizioni di lavoro, potenziamento delle norme contro le discriminazioni e le molestie, qualifica del welfare per diminuire le difficoltà di accesso e permanenza nel mondo lavoro. Sono solo alcune delle proposte al primo punto ‘Sviluppo inclusivo, crescita condivisa e lavoro dignitoso’ del Position Paper ‘Il cambiamento che vogliamo’. Tra le azioni di sviluppo dell’occupazione femminile, in cui deve esserci il “coinvolgimento prioritario del ministero del Lavoro”, le promotrici del documento includono anche una revisione generale in materia di congedi e sostegni, con un’estensione “universale dei diritti legati alla maternità”, l’aumento del congedo obbligatorio di paternità e il potenziamento di quelli facoltativi. E poi una revisione dei servizi per l’educazione e la cura dei minori, dedicati alle persone con disabilità e anziane “in un’ottica di quantità” e “soprattutto di flessibilità temporale e organizzativa”. Fondamentale, poi, passare dalle politiche di “conciliazione” vita-lavoro a quelle di “condivisione”, la valorizzazione della contrattazione sindacale e il superamento delle forme di segregazione orizzontale e verticale, per combattere il Gender Pay Gap e il Gender Pension Gap. Sono giudicate “improcrastinabili” specifiche policy per la riduzione del Digital Gender Gap. 

Le organizzazioni femminili chiedono, inoltre, un maggiore impegno nella prevenzione e nel contrasto delle molestie sui luoghi di lavoro, ratificando la Convenzione Ilo n. 190. Nell’ambito delle politiche attive del lavoro, per aumentare la presenza attiva delle donne in tutti i livelli della gerarchia professionale e dell’organizzazione della produzione, come degli altri gruppi svantaggiati, si chiedono Piani di azione positiva, che vadano oltre il sistema delle quote, stabilendo obiettivi e scadenze e prevedendo misure specifiche, dalla formazione al mentoring, dai servizi di sostegno all’orario flessibili, potenziandone la diffusione e l’applicazione nel settore pubblico e favorendone l’adozione nel settore privato. I Piani di Azione, secondo in base alle proposte delle femministe, devono essere redatti a partire da linee guida elaborate dal ministero del Lavoro, in collaborazione con le parti sindacali e datoriali. Infine, l’attenzione delle esperte si è concentrata sul Comitato Nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici e sulle Consigliere di Parità “il cui ruolo negli ultimi anni è stato depotenziato”. Per questo la proposta è di dare incarico a un istituto indipendente di effettuare un’analisi valutativa del funzionamento e capire come il sistema dovrebbe essere riformato.

SANITÀ: POTENZIAMENTO CONSULTORI E RU486 FINO A 63 GIORNI

Potenziamento della rete dei consultori liberi e gratuiti, garanzia di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza incentivando il farmacologico da estendere fino a 63 giorni (oggi è possibile ricorrervi fino a 49) contraccezione gratuita, accompagnata da un sito ministeriale e un numero verde multilingue dedicato alla salute riproduttiva. È il cuore del secondo punto del Position Paper ‘Il cambiamento che vogliamo’ dedicato al tema ‘Povertà, protezione sociale e servizi sociali’. 

Lo sforzo da condurre, per le promotrici del Paper, va indirizzato verso una ridefinizione dei servizi pubblici a partire dai bisogni espressi “perché siano sensibili al genere e costruiti dalle donne secondo modelli di governance collaborativa”, aperti, in una prospettiva intersezionale, “alle donne con background migratorio” e a quelle che hanno subito mutilazioni genitali femminili. Maggiore attenzione viene richiesta anche rispetto alla maternità e alla gravidanza, per una “gestione del parto rispettosa delle scelte della donna e attenta ai bisogni del neonato” e un adeguato “supporto domiciliare alla mamma nel post-partum”.


UNIVERSITÀ: BILANCIO GENERE ENTRI IN QUELLO D’ATENEO

Per combattere la disparità di genere ancora presente nel mondo dell’università e della ricerca e il fenomeno noto come ‘leaky pipeline’, “metafora dell’uscita progressiva delle donne dai percorsi di carriera accademica”, occorre “integrare il bilancio di genere nel bilancio di ateneo e nei documenti di governance e promuovere un modello di ricerca ‘femminile'”. È quanto raccomandato dalle organizzazioni delle donne nel secondo punto del Position Paper. Una maggiore presenza accademica femminile per le promotrici del documento deve essere accompagnata da più welfare, telelavoro e smart working, un incremento nelle posizioni chiave, un orientamento gender-sensitive, la valorizzazione degli studi di genere e la promozione della presenze femminili nei percorsi ritenuti tradizionalmente maschili. Ma anche dall’avvio di progetti sugli stereotipi di genere nelle scuole primarie e dal favorire l’adozione di un linguaggio non neutro.

VIOLENZA: PROGRAMMARE FONDI CAV E STOP A PAS NEI TRIBUNALI

La violenza maschile contro le donne è il tema che occupa il maggior spazio nella riflessione delle organizzazioni femminili contenuta nel Position Paper ‘Il cambiamento che vogliamo’. Grande attenzione, nel quarto punto del documento, è riservata alla questione dei criteri di ripartizione dei fondi destinati ai centri antiviolenza, su cui le promotrici chiedono una verifica della qualità dei servizi erogati, spesso aggiudicati da soggetti che operano senza “un’accoglienza basata sulla metodologia di genere” grazie a “forti ribassi nell’offerta economica”, che però rischiano di “svuotare il significato del centro antiviolenza come attivatore di cambiamento culturale”. Anche per evitare il fenomeno dei ritardi con cui le risorse giungono a destinazione, il documento chiede l’adozione di “una programmazione pluriennale dei fondi basata sull’analisi periodica dei bisogni e dei costi territoriali”. Sul fronte della vittimizzazione secondaria nei procedimenti giudiziari, invece, il Position Paper insiste sulla necessità di “bandire il ricorso alla Pas (sindrome dell’alienazione parentale) o affini dai tribunali, dalle relazioni dei servizi sociali, dalle consulenze tecniche”, istituendo “albi di consulenti specializzati in casi di violenza maschile contro le donne” e formando magistrati, avvocati, forze dell’ordine e tutte le figure professionali che a vario titolo intervengono nel procedimento giudiziario. Obiettivo della formazione, da realizzare coinvolgendo le organizzazioni di donne, è il riconoscimento e la valutazione dell’impatto della violenza domestica su relazioni, genitorialità e il contrasto agli stereotipi sessisti. 

E l’educazione al genere e alle differenze il Position Paper chiede di introdurla con obbligo nelle scuole frequentate dai bambini nella fascia d’età 0-6 anni, prevedendo l’acquisizione di specifiche competenze anche da parte dei/delle docenti. Come anche il tema della violenza online e dell’uso consapevole della tecnologia “dovrebbero essere inclusi in programmi educativi dedicati”, mentre sulla diffusione online non consensuale di contenuti foto e video “il contrasto non può che avere forma meramente punitiva”, da attuare in concerto con le piattaforme web. Un capitolo a parte è dedicato alla vittimizzazione secondaria delle donne sui media, da contrastare attraverso l’attivazione di un osservatorio che ne “monitori la narrazione”, la formazione dei professionisti e delle professioniste e l’insegnamento dei temi legati al Manifesto di Venezia nelle scuole di giornalismo. Più attenzione dovrebbe essere dedicata ai discorsi d’odio, secondo il documento, che traccia la strada chiedendo la creazione di un tavolo istituzionale di consultazione sui media che includa il Dipartimento Pari Opportunità, organismi di categoria e associazioni femministe e della società civile, oltre ad un osservatorio. Affrontate anche le molteplici forme di violenza che coinvolgono donne con disabilità, lesbiche, bisessuali, transessuali, transgender, non binarie, intersessuali e queer, donne, ragazze e bambine rom, sinti e camminanti, donne migranti. Mentre sulle politiche anti-tratta, sottolineano le promotrici del Paper, “occorre una vera e propria svolta” che le fondi sui “diritti umani delle donne” sfuggendo a qualsiasi “approccio paternalistico”.

PARTECIPAZIONE: BILANCIO GENERE PER RAGGIUNGERE UGUAGLIANZA

Le donne sono meno rappresentate degli uomini, nelle istituzioni politiche e nei media. È da questo assunto che parte l’elaborazione di una risposta tutta al femminile nel Position Paper ‘Il cambiamento che vogliamo’. La composizione prevalentemente maschile delle task-force governative in epoca Covid-19 sono per le promotrici del documento un “chiaro sintomo di questa emarginazione”. Per prima cosa, il documento propone, quindi, di rimuovere “gli ostacoli materiali” e “favorire un cambiamento culturale profondo per eliminare gli stereotipi e le discriminazioni di genere esistenti”, oltre a “favorire inclusività dei processi decisionali istituzionali aprendoli a un confronto obbligatorio con il settore non-profit e con la cittadinanza attiva più o meno organizzata, che registra una presenza predominante di donne al suo interno”. Ancora una volta la chiave del cambiamento è individuata nel bilancio di genere, la cui istituzionalizzazione potrebbe dare “una svolta effettiva all’indirizzo dell’azione stessa e mandare un segnale sulla rilevanza attribuita al raggiungimento dell’obiettivo dell’eguaglianza”, agendo sulla formazione della PA e della classe politica. “Gli investimenti dell’Italia su progetti di cooperazione internazionale che promuovono l’uguaglianza di genere devono aumentare in termini di risorse allocate e in termini di competenze nelle sedi di programmazione e coordinamento”, si legge nel Position Paper, che alla fine del quinto punto riporta alcune raccomandazioni tra cui la necessità di “prendere in considerazione i diritti delle persone Lgbtqia+” e di istituire anche in Italia un’autorità indipendente che vigili sui diritti umani in linea con i Principi di Parigi.

 

PACE: NOSTRE ORGANIZZAZIONI SOGGETTI CHIAVE IN CONFLITTI

Le organizzazioni delle donne nelle situazioni di conflitto rappresentano “soggetti chiave” per ridurle o trasformarle. È al ruolo di pace delle donne che guarda il quinto punto del Position Paper. Diversi gli elementi su cui porre attenzione nel quarto Piano di Azione Nazionale del Comitato Interministeriale per i Diritti Umani (Cidu), in attuazione della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 1325 in materia di Donne, Pace e Sicurezza: rafforzare il focus sulle giovani e sull’impatto della discriminazione multipla ed intersezionale; investire in servizi, percorsi, reti di prevenzione e supporto a favore delle donne e ragazze con vissuti di violenza maschile, con riguardo ai diritti riproduttivi delle donne e ragazze; misure di prevenzione di stupri e violenze sessuali nelle situazioni di conflitto. “Si ritiene importante inoltre continuare la formazione di tutti i componenti delle forze armate – si legge nel documento – valorizzando al contempo la presenza delle donne nelle Forze Armate e assicurando che possano accedere – in assenza di discriminazione e attraverso processi trasparenti – alle posizioni decisionali apicali nei processi politici e di pace nei quali è direttamente coinvolto il nostro Paese, così come nei processi di prevenzione e risoluzione dei conflitti, incluse le mediazioni e le negoziazioni”.

AMBIENTE: LEADERSHIP FEMMINILE PER GUIDARE CAMBIAMENTO

“Le donne devono potersi assumersi la responsabilità di guidare i processi di cambiamento, valorizzando le esperienze già presenti nel settore dello sviluppo sostenibile”. Così il Position Paper ‘Il cambiamento che vogliamo’ presentato oggi nella sede nazionale dell’Agenzia di stampa Dire dalle organizzazione delle donne a 25 anni dalla Conferenza di Pechino. Al ruolo femminile nella tutela della Terra è dedicato il sesto punto intitolato a ‘Protezione, conservazione e rigenerazione dell’ambiente’. Il documento sottolinea il peso delle donne nel settore agroalimentare, protagoniste di iniziative di green economy e sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista sociale. Un protagonismo che deve essere coltivato coinvolgendo ancora di più le giovani “che già stanno sperimentando in start up, in aziende agroalimentari e nel volontariato una società più giusta, ecologica e non violenta, che applica l’economia circolare”. Crisi climatica e degrado ambientale “hanno bisogno della partecipazione attiva e della leadership di donne e ragazze in tutte le loro diversità per essere affrontati e mitigati”, conclude il Position Paper, che sottolinea come “una transizione equa verso la green economy” non può prescindere dal “considerare il lavoro di cura non pagato delle donne che sostiene l’attuale sistema economico”.

ISTITUZIONI: NUOVO MECCANISMO PARITÀ PRESSO PCM

Un meccanismo di consultazione e concertazione permanente per la parità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, indipendente dal Governo e presieduto da una personalità esperta di tematiche di genere. È quanto richiesto nel settimo e ultimo punto del Position Paper. Il nuovo organismo dovrebbe essere “dotato di mezzi finanziari e risorse umane per la realizzazione dei suoi obiettivi, al quale partecipino rappresentanti delle istituzioni preposte alla parità di genere, del Parlamento, delle organizzazioni femministe/femminili maggiormente rappresentative, delle università e centri di ricerca, oltre ad esperte/i indipendenti”, si legge nel documento. Tra gli obiettivi di questo nuovo meccanismo la promozione di “studi, analisi e ricerche”, la formulazione di “proposte e raccomandazioni”, la “valutazione dell’impatto di genere delle varie leggi e decreti attuativi” e un lavoro “di concerto con la Commissione interministeriale presso la Presidenza del Consiglio che ha il compito di verificare la realizzazione degli Obiettivi dell’Agenda 2030”. A partire dai limiti del sistema delle quote rosa “insufficiente a garantire una reale uguaglianza di genere nell’accesso alle cariche politiche” e nei board delle società quotate (legge Golfo-Mosca), le femministe chiedono di “ripensare i meccanismi per la gender equality e l’empowerment delle donne, nella politica, come nelle istituzioni e nel mondo del lavoro con un cambio di prospettiva, in modo da agire direttamente sugli stereotipi di genere e favorire il tanto atteso cambio di passo”. Uno degli interventi, per esempio, potrebbe essere quello della quota massima in luogo della minima: “seguendo questo tipo di logica, gli uomini, essendo il 49% della popolazione, potrebbero ricoprire una quota massima del 49% dei posti in Parlamento e in altre istituzioni”. Ma “il sistema delle quote- conclude il Paper- rappresenta solo uno strumento parziale e temporaneo di livellamento dell’arena politica per le donne che non potrà compiersi senza profondi cambiamenti culturali e sociali della società volti ad eliminare gli ostacoli di accesso alla partecipazione”.

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