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Dalle torture alle capre: la storia del migrante che ora rischia un rimpatrio beffa

Kwabena è un giovane ghanese di 28 anni che lavora per l’Università di Bologna: ora che è perfettamente integrato per i giudici deve andarsene

Pubblicato:09-06-2020 18:39
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:28
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ROMA – Arrivato a Bologna dopo la fuga, le carceri libiche, la traversata via mare e lo sbarco a Lampedusa, Kwabena gestisce il caprile dell’Università di Bologna. Gode della protezione umanitaria, ma la Corte d’appello ha ribaltato la sentenza. Ora si aspetta la Cassazione.

“Kwabena è uno di noi. Lui è spettacolare, ce lo teniamo stretto”. A parlare è Arcangelo Gentile, ordinario della facoltà di veterinaria dell’Università di Bologna e presidente di Vet for Africa, circolo affiliato alle Acli di Bologna con sede a Ozzano, progetto nato a partire dall’esperienza di solidarietà che dal 2003 alcuni studenti di medicina veterinaria dell’Ateneo bolognese stanno portando avanti ad Hanga, un piccolo villaggio del sud della Tanzania.

LA NUOVA VITA DI KWABENA

Kwabena, invece, è un ragazzo di origine ghanese di 28 anni, fuggito dal suo paese e arrivato in Italia nel 2016, dopo quattro anni nelle carceri libiche tra torture e violenze. Poi il viaggio in mare, lo sbarco a Lampedusa e il trasferimento nel capoluogo emiliano.


Kwabena ed Ebrima – un coetaneo originario del Gambia – furono scelti per un tirocinio formativo proprio al Dipartimento di veterinaria: il loro compito era occuparsi del caprile, imparare un mestiere e trovare un impiego. Ebrima, oggi, un lavoro ce l’ha, assunto a tempo pieno da un allevatore con più di cento capre. Kwabena, invece, è rimasto: un contratto da operaio agricolo a tempo parziale e 30, 35 capre (ma il mese scorso sono state molte di più, considerati i 16 parti gemellari) che lui accudisce con passione e professionalità.

“Con gli orari si autogestisce: munge la mattina e il pomeriggio, si organizza lui il lavoro come meglio crede. È stato lui a seguire anche i parti: è assolutamente autonomo, ci contatta solo in caso di capre ammalate o parti difficili”.

Kwabena vive in una casa poco distante dal caprile messa a disposizione da un convento delle vicinanze: “Si prende cura anche dei fiori delle suore, dicono che non hanno mai avuto un giardino così bello e rigoglioso – sorride Gentile, che aggiunge – lui è sempre disponibile, non si tira indietro di fronte a nulla. Chiunque si rivolga a lui per un aiuto, non resterà deluso: è fortemente versatile, ha tanta buona volontà”.

Alla stalla non è mai mancato un giorno, nemmeno nel periodo del lockdown, “fase che ha vissuto molto male. Era seriamente preoccupato, ma i suoi timori non gli hanno impedito di continuare a svolgere il suo lavoro. Bicicletta, mascherina, guanti e cappellino: non si separa mai dai dispositivi di protezione individuale”.

LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE PRIMA RICONOSCIUTA E POI ANNULLATA

Kwabena nel 2017 si è visto riconoscere, dal Tribunale di Bologna, il diritto alla protezione umanitaria, ma l’Avvocatura di Stato ha fatto ricorso, e la Corte d’appello ha annullato la prima sentenza (le motivazioni alla base della sua richiesta di protezione internazionale sono state giudicate non sufficienti per l’ottenimento della misura).

Il giovane, insieme con il suo avvocato, presenterà ricorso in Cassazione: “Senza entrare nel merito di una decisione dello Stato, posso solo dire che Kwabena è un esempio di integrazione perfettamente riuscita. Lui e gli studenti si vivono tutti i giorni, i ragazzi gli vogliono molto bene. L’hanno scorso dovevamo andare a Lisbona per un convegno, sono stati loro a proporci di portarlo con noi e di farlo intervenire nelle vesti di relatore. È stato un successo: siamo andati a mangiare granchi e ad ascoltare il fado, non poteva credere ai suoi occhi e alle sue orecchie. Lui è sempre con noi, è parte integrante del gruppo“.

La speranza, oggi, è quella che a Kwabena sia confermata la protezione internazionale: “Quando tutti i documenti saranno in regola, vorremmo tanto fargli un regalo. Vorremmo potesse tornare a casa a salutare sua madre: un viaggio in terra natia, per poi rientrare da noi con tanto entusiasmo e, magari, una ritrovata serenità. Lui sogna un futuro migliore, noi vogliamo aiutarlo”.

(Dires – Redattore Sociale)

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