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In Italia oltre 144mila cittadini vivono dopo una diagnosi di tumore del rene

Anture commenta le parole di Michela Murgia che ha rivelato di essere colpita dalla neoplasia al quarto stadio

Pubblicato:09-05-2023 15:49
Ultimo aggiornamento:09-05-2023 16:20

Rene
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ROMA – “Oggi in Italia più di 144mila cittadini vivono dopo la diagnosi di tumore del rene. Anche per i pazienti con la malattia in fase avanzata sono sempre più concrete le possibilità di sopravvivenza a lungo termine, grazie a terapie innovative”. È il commento dell’Associazione Nazionale Tumore del Rene (Anture) alle parole di Michela Murgia, che ha recentemente rivelato in un’intervista di essere colpita da carcinoma renale al quarto stadio.

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Anture vuole fare i migliori auguri a Michela Murgia e sottolineare ciò che ricordano gli esperti. “Oggi come oggi, soprattutto per il tumore renale- scrive su Twitter Camillo Porta, professore ordinario di Oncologia Medica all’Università Aldo Moro di Bari e direttore della Divisione di Oncologia Medica del Policlinico di Bari– i pazienti lungosopravviventi anche in stadio IV sono una realtà, e iniziamo timidamente a parlare di guarigione. E guadagnare tempo, non è solo guadagnare vita, ma anche poter beneficiare domani di nuovi farmaci sempre più attivi”.
“Più di sette pazienti su dieci- aggiunge Giuseppe Procopio, direttore dell’Oncologia Medica Genitourinaria e del Programma Prostata dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano– sono vivi a cinque anni dalla diagnosi di un carcinoma del rene in Italia. Questi risultati sono oggi possibili grazie a un integrazione di cure farmacologiche, sistemiche o loco regionali“.
“In questi ultimi anni- conclude Sergio Bracarda, direttore della struttura complessa di Oncologia medica e traslazionale e del dipartimento di Oncologia presso l’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni e presidente della Società Italiana di Uro-Oncologia (Siuro)– abbiamo notevolmente aumentato il nostro livello di conoscenza della malattia e questo, unitamente al numero crescente di opzioni terapeutiche, non solo farmaci, e alla frequente consuetudine al confronto multidisciplinare fra specialisti sta portando ad una crescente probabilità di controllo della malattia e a una sua cronicizzazione, anche ‘indefinita nel tempo’, basti pensare a quanto successo alle forme con componente sarcomatoide“.


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