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Ius soli, l’attivista italo-somalo: “Rom, marciate con noi”

L'attore, regista e attivista Amin Nour ha scritto una lettera alla comunità Rom e Sinti per invitarli alla Marcia dei diritti del 9 maggio

Pubblicato:09-04-2019 04:55
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:20

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ROMA – “Sono qui per invitare la comunità Rom e Sinti alla manifestazione del 9 maggio ‘Legge di cittadinanza – Marcia dei diritti’ e vi spiego il perché. La vostra causa è anche la nostra”. A scrivere questa lettera, dopo gli scontri a Roma tra i residenti del quartiere Torre Maura e un gruppo di persone di etnia rom, è Amin Nour, “attore, regista e attivista. E anche operaio di mensa: la creatività non paga, come tutti gli artisti ben sanno”.

Nour insieme al collettivo ‘Attivismo, Italiani di origine diversa, immigrazione, discriminazioni’, ha lanciato una marcia per incoraggiare l’introduzione della legge sulla cittadinanza a cui hanno già aderito oltre 50 tra singoli individui e realtà associative. A questa iniziativa seguiranno poi una serie di altri appuntamenti fino al 2 giugno, a cui sono invitati a partecipare tutti: italiani, italiani di origine diversa, immigrati.

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Amin Nour

Nella sua lettera l’attivista prosegue: “Sono da sempre un profugo, un migrante fuggito nel ’91 dalla guerra civile somala. A tre anni, con mio nonno, ho percorso 450 chilometri a piedi per salvarmi la vita. Per questo ho sempre in mente la storia di Enea che porta Anchise sulle spalle mentre fugge dalla città di Troia in fiamme. Il più forte che si sacrifica per il più debole. Nel tragitto dalla Somalia all’Etiopia, a prendermi in braccio è stato mio nonno, un 80enne. Il suo detto era: ‘Se qualcuno deve morire, meglio che sia il più vecchio’. Mio nonno, a dire il vero, non era per niente il più debole, anzi! Pensate, ha guidato una carovana, fuggendo con tutta la famiglia da una guerra atroce, proteggendomi da tutti i pericoli. Purtroppo, quando arrivammo in un campo profughi vicino ad Addis Abeba, non poté proteggermi dalla discriminazione dei natii, compresi i bambini, che ci lanciavano sassi e ci urlavano insulti. Il razzismo può essere di casa ovunque. Ricordo di aver provato paura e rabbia. Più tardi, da grande, anche una grande tristezza”. 

“Quando partii dall’Etiopia per raggiungere l’Italia, sapevo a memoria tutti i nomi delle armi” continua a scrivere Amin Nour. “Di fatto, avevo già subito la prima fase di addestramento per diventare un bambino soldato. Per convincermi a partire di nuovo, mia madre mi raccontò che l’Italia era un Paese dove non ce n’era nemmeno una, di armi. Un Paese dove regnava la pace. Appena sbarcato a Fiumicino, però, ciò che vidi per primo fu un carabiniere armato di mitra. E le mie prime parole sul suolo italiano furono: ‘Bugiarda! Sei una bugiarda!’. Poveretto io, poveretta mia madre … e poveretto anche il carabiniere. Non poteva capire quel che dicevo, ma intuì il problema e nascose l’arma”.

Io sono un ibrido: italiano e somalo, adottato e figlio di emigranti. Con mia madre, abbiamo da sempre vissuto con una famiglia italiana, diventando una sola famiglia. Sono cresciuto sapendo di essere come i miei fratelli, di essere quello più grande, di essere a casa mia. Scoprii poi col tempo che ero in qualche modo diverso. Prima alle medie, quando mi fu detto che non avevo i documenti per andare in gita all’estero con i miei compagni. Poi a diciott’anni, quando tutti i miei amici andarono a votare e io no. Da sempre, la gente che mi conosce rimane stupita quando dico che non ho la cittadinanza italiana. Non ci vogliono credere”.

“Quando sento parlare d’identità da chi mi etichetta come africano, mi dico sempre: ma cosa stanno dicendo?! La mia identità è complessa e in evoluzione, è un fiume in piena che non può essere arginato o etichettato” si legge ancora nella lettera di Amin Nour, indirizzata alle comunità rom e sinti italiane. “La mia cultura è italiana, meglio europea, ma un giorno potrei andare in Cina o in Giappone e cambiare. Diventare un altro uomo. Tuttavia, non posso nascondere la mia bella faccetta nera: è la prima cosa che si vede, ed è una specie di bandiera. Per me, nero, ma anche per tutte le minoranze oppresse. Sono nero, innanzitutto, ma proprio come nero sono anche donna, bambino, disabile, gay, prostituta, immigrato, Rom, povero, disoccupato, sfruttato, precario, extracomunitario, ebreo, musulmano, senzadio”.

“Per anni ho fatto parte di realtà che attraverso la cultura, l’arte e l’attivismo politico lavorano per cambiare la situazione. Oggi lavoro con Diem25, un movimento transnazionale progressista. Sono tante cose, ma i miei intenti e miei obiettivi sono pragmatici e aggregativi. Faccio politica, la faccio a sinistra, ma voglio uscire dalle dinamiche di ghetto. La battaglia per la cittadinanza è prima di tutto una battaglia di civiltà. Per troppo tempo abbiamo ragionato come se fosse una partita di calcio, senza trovare le giuste mediazioni. Dobbiamo creare connessioni, costruire rete, produrre mediazioni concrete insieme a tutte le istituzioni. Partendo dal basso, formando consenso e quindi rappresentanza per le varie minoranze. Lavorando per dare forza ai diritti di tutti. Per legare e coordinare ogni realtà, associazione, comitato, comunità, e riportare alla politica un popolo che se ne è allontanato. Oggi siamo divisi, segregati nelle nostre singole piccole realtà. Dobbiamo dare un senso unitario ed inclusivo alle nostre istanze parziali. Insieme possiamo cambiare la realtà. Soli possiamo solo subirla. Ubuntu: Io sono perché noi siamo! Uniti siamo, insieme possiamo!”.

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