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Le mamme tunisine chiedono all’Italia la verità sui figli scomparsi FOTO

"Vogliamo i nostri figli!". Circa 50 persone da tutto il Paese, soprattutto donne, si sono riunite davanti all'Ambasciata Italiana per scandire questo slogan

Pubblicato:09-02-2017 17:08
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 10:53

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TUNISI – “Nihibbu uledna!”, “Vogliamo i nostri figli!”. Sotto la pioggia che stamani cadeva fitta sulla capitale tunisina, circa 50 persone da tutto il Paese, soprattutto donne, si sono riunite davanti all’Ambasciata Italiana per scandire questo slogan.

Tra le manifestanti c’è chi ha tentato il suicidio, chi ha girato l’Italia in lungo e in largo in cerca dei propri cari, ma dei ragazzi (503 quelli ufficialmente recensiti) scomparsi tra 2011 e 2012 dopo aver lasciato le coste della Tunisia su imbarcazioni illegali non si sa ancora nulla.


Heger, gli occhi stanchi e le foto dei figli appese al collo, racconta: “la vita senza di loro è un inferno: sono partiti il 1 marzo 2011, ora hanno 28 e 25 anni”. Molte dimostranti sono convinte che i loro ragazzi siano arrivati vivi in Italia: alcune affermano di averli visti in televisione, altre parlano di telefonate ricevute dall’Italia dai numeri dei loro cari.


“Oggi abbiamo incontrato un rappresentante dell’ambasciata italiana che ci ha promesso un incontro congiunto con il nostro ministero degli Affari Esteri, ma se le cose non andranno avanti mercoledì mattina saremo ancora a Tunisi per manifestare“, ha spiegato all’Agenzia DIRE Imed Soltani, presidente dell’associazione ‘Terre pour tous’ che raccoglie diversi familiari di persone scomparse.

Il problema, come sottolinea Rebecca Kraiem, tunisina, presidentessa dell’associazione di tunisini in Italia “Giuseppe Verdi” è che il governo tunisino non vuole intervenire. “Terre pour Tous” esige che proseguano i lavori della commissione d’inchiesta italo-tunisina sui cittadini scomparsi dopo essersi imbarcati verso l’Italia dalla Tunisia. Alcune ricerche, in Italia, sono già state fatte tra 2013 e 2016, ma i lavori sono fermi da circa un anno.

di Giulia Beatrice Filpi

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