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Amiry-Moghaddam: “Ora la situazione dei diritti in Iran peggiorerà”

Presidente Ihr: "Raid Trump regalo a regime contestato in piazza"

Pubblicato:09-01-2020 12:01
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:49

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ROMA – “L’escalation di tensioni tra Stati Uniti e Iran peggiorerà la condizione dei diritti umani per il popolo iraniano. Se tutta l’attenzione dei media e della comunità internazionale continua a restare focalizzata sul conflitto tra la Casa Bianca e Teheran il regime iraniano avrà mano libera. Ci preoccupa la situazione delle migliaia di persone arrestate durante le manifestazioni di novembre: di molte di loro non riusciamo ad avere notizie, mentre le autorità continuano ad arrestare gli attivisti e persino i familiari delle vittime che chiedono giustizia”. Mahmood Amiry-Moghaddam è il presidente dell’Istituto iraniano per i diritti umani (Ihr), organizzazione che da 15 anni monitora la situazione dei diritti nel Paese persiano. Contattato dalla Dire nella sede dell’Ihr in Norvegia, esprime “forte preoccupazione” per le tensioni crescenti tra Teheran e Washington.

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“L’uccisione del generale Qassem Soleimani ordinata dal presidente Trump – dichiara l’esperto – è stato un enorme favore alla Guida suprema Ali Khamenei perché ha spostato l’attenzione dalla violenta repressione delle manifestazioni pacifiche di novembre alle tensioni in Medio Oriente”. Secondo Amiry-Moghaddam, fino a venerdì le autorità iraniane erano costrette a confrontarsi con le crescenti critiche da parte dell’opinione pubblica, sia interna che internazionale: “Le famiglie dei 1500 morti e delle decine di migliaia di arrestati stavano facendo sentire la loro voce, per chiedere giustizia e maggiore trasparenza”. Secondo l’esperto, l’assassinio del generale Soleimani, “su cui il regime investiva da anni per creare il mito, l’icona dell’eroe nazionale, ha permesso di rafforzare la propaganda dell’Iran quale vittima delle aggressioni di nemici stranieri”. 

In questo quadro, denuncia Amiry-Moghaddam, le limitazioni ai diritti umani continueranno a restare all’ordine del giorno. Il governo inoltre investe gran parte dei fondi pubblici in operazioni militari all’estero, “e non per il benessere dei suoi cittadini. Le manifestazioni di novembre – ricorda il presidente dell’Istituto – sono iniziate proprio per denunciare la disoccupazione, in crescita negli ultimi due anni, i salari bassi o quelli non pagati per mesi per i dipendenti pubblici. Ma per le operazioni militari – che in Iran chiamiamo ‘avventure’ – i fondi si trovano: dopo la morte di Soleimani il parlamento ha annunciato uno stanziamento equivalente a 200 milioni di euro per le Forze armate”.

Pertanto “non è strano che non si assista a marce pacifiste organizzate“, dice Amiry-Moghaddam. “La tolleranza verso il dissenso ora è pari a zero. La gente ricorda molto bene che all’indomani della guerra contro l’Iraq degli anni Ottanta, o nel 2009, quando in migliaia dissero basta agli interventi all’estero, moltissimi finirono in carcere con l’accusa di collaborazionismo. Faccio appello all’Unione europea e ai media affinché riportino l’attenzione sulle violazioni sofferte dagli iraniani, affinché le pressioni internazionali impongano un cambiamento democratico”.

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