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Caccia a oro e minerali nel sud del Kivu, si temono i cinesi

La testimonianza del missionario: "Erano stati bloccati, ma lo stop può essere fittizio"

Pubblicato:08-12-2021 14:42
Ultimo aggiornamento:10-12-2021 16:44

congo foto don davide marcheselli
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BOLOGNA – Da tre anni alcune “ditte cinesi” scavano “in maniera illegale” nel Sud Kivu, in Congo, alla ricerca di oro e altri minerali, utili per l’hi tech. Aziende che per qualche tempo sono state bloccate, anche in forza di un tam tam mediatico sulle condizioni di sfruttamento a cui è costretta la popolazione locale e sulla corruzione diffusa nelle alte sfere. Uno stop che però rischia di essere “fittizio”, consentendo quindi a queste imprese di tornare a operare come prima. A lanciare l’allarme è un missionario bolognese che da un anno si trova proprio nella provincia del Sud Kivu, don Davide Marcheselli, in un’intervista all’agenzia Dire.

Nel territorio della parrocchia di Kitutu, a 240 chilometri da Bukavu, capoluogo della provincia, nel sottosuolo si trova molto oro che viene scavato, soprattutto, “lungo e dentro il fiume Elila- riferisce don Davide- dal 2018 sono presenti ditte cinesi che scavano in maniera totalmente illegale, agendo con una corruzione importante a livello nazionale, provinciale e dei capi tradizionali del luogo“.

Oltre ai politici, spiega il missionario, “si corrompe anche l’esercito per avere una protezione militare”. Dopodiché si è “pronti per cominciare a scavare, espropriando i terreni illegalmente alle persone che vivono e lavorano in quelle zone da secoli”. Per la maggior parte si tratta di terreni coltivati a riso, palme, manioca e arachidi. “Tutto viene devastato- spiega don Davide- inquinando sia il terreno sia il fiume, lasciando una desertificazione diffusa e rubando l’oro trovato. Questo è il sistema in atto da almeno tre anni in quell’area“.


La società civile congolese, racconta il sacerdote, “ha denunciato da subito queste vessazioni, riuscendo finalmente ad aver un po’ di ascolto anche a livello internazionale, grazie ad alcuni reportage. Sono state fatte commissioni e visite da parte dei deputati, con l’esito del blocco per queste ditte cinesi“. Ma, afferma don Marcheselli, “al mio ritorno mi aspetto che questo sia un blocco fittizio e che le aziende riprendano a lavorare quando si sarà spenta l’eco mediatica”. Allo stesso tempo, però, “mi aspetto anche una sempre maggiore presa di coscienza da parte della popolazione dei propri diritti e delle proprie possibilità di ottenerli- sostiene il missionario- una consapevolezza di popolo di poter lottare e fare sentire in alto la propria voce. Quindi mi aspetto anche richieste pressanti di cambiamento dal basso, perchè la società civile congolese, anche nelle campagne, è vivace e con sempre maggiore coscienza delle proprie possibilità“. Don Marcheselli ci tiene poi ad aggiungere di non sentirsi “impaurito. I cinesi portano sfruttamento, è vero, ma non una violenza diffusa. La realtà che mi circonda è comunque pacifica, in particolare dal 2008”, dopo le due guerre che hanno coinvolto la regione. Certo, “la gente scappa- conferma il sacerdote- ma non fugge all’estero. Il Congo è il primo Paese al mondo col maggior numero di rifugiati interni. Ci sono circa 10 milioni di congolesi che fuggono in altre regioni sempre del Congo, che comunque è enorme: è otto volte l’Italia. Chi scappa non arriva direttamente in Europa, ci arriva semmai alla fine di un percorso. I processi migratori, all’inizio, sono sempre circoscritti al proprio ambiente o agli Stati confinanti”, spiega don Marcheselli.

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