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ROMA – In Italia aumentano i casi di suicidio tra i giovanissimi. Nel giro di poco tempo, a Senigallia a metà ottobre e a Piazza Armerina due giorni fa, due 15enni si sono tolti la vita. Un’altra ragazza, nelle Marche, ci ha provato ieri buttandosi dalla finestra della scuola e un altro studente aveva fatto lo stesso a Torre del Greco qualche settimana fa. Cosa sta accadendo ai nostri ragazzi? Cosa li spinge ad arrivare a un gesto tanto tragico? L’agenzia Dire lo ha chiesto alla presidente della Società Italiana di Psichiatria (Sip), Liliana Dell’Osso.
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“In primo luogo- spiega- c’è la neurobiologia. Il cervello di un adolescente si trova in una fase detta di ‘neurosviluppo’, un complesso processo di crescita essenziale per un armonico sviluppo cognitivo, motorio, sociale ed emotivo. Si tratta di un insieme di processi biologici dinamici e in costante interazione con l’ambiente di vita del soggetto: famiglia, relazioni, scuola e società”.
“Nel cervello di un adolescente- prosegue- il sistema limbico, struttura centrale nelle risposte emotive e comportamentali, maturerebbe prima del sistema frontale, preposto alla regolazione delle stesse, quindi al controllo degli impulsi. Ne deriva uno sbilanciamento verso la ricerca del piacere, con conseguente predisposizione alla messa in atto di comportamenti a rischio, come uso di alcool e sostanze, condotte sessuali precoci, aggressività rivolta verso sé o altri”.
Se ogni adolescente è naturalmente predisposto ad effettuare comportamenti pericolosi, ve ne saranno alcuni particolarmente vulnerabili. “Alla base di tale vulnerabilità- evidenzia la presidente Sip- si pongono numerosi e svariati fattori di rischio derivati della genetica e dall’ambiente, come familiarità per abuso di sostanze, condizioni sociali disagiate e storia di traumi precoci, come negligenza o abusi in ambito familiare o episodi di bullismo, che potranno compromettere in modo incisivo un’armonia di crescita, predisponendo peraltro allo sviluppo di disturbi mentali”.
In passato la Società Italiana di Psichiatria ha lanciato l’allarme suicidi anche tra gli adolescenti: come è possibile? “Un allarme basato sui dati Unicef- precisa la presidente Dell’Osso- secondo cui a livello globale oltre 1 adolescente su 7 tra i 10 e i 19 anni vive con un problema di salute mentale diagnosticato. La maggior parte delle 800.000 persone che muoiono ogni anno per suicidio sono giovani e il suicidio è la quarta causa principale di morte tra i giovani fra i 15 e i 19 anni, con 46.000 adolescenti suicidi ogni anno, più di uno ogni 11 minuti”.
In tutto questo, qual è il ruolo dei social? E quanto l’Intelligenza Artificiale può essere messa sotto accusa? Basti ricordare quanto accaduto negli Stati Uniti, dove un ragazzo si è tolto la vita dopo essersi innamorato di un ‘chatbot’. “I social- risponde Liliana Dell’Osso- rappresentano una medaglia dalla doppia faccia. Si tratta infatti di una risorsa preziosa per l’instaurazione di legami sociali in soggetti con difficoltà nelle relazioni interpersonali. Si pensi, per esempio, a ragazzi con tratti autistici o disturbo d’ansia sociale”.
“D’altra parte- sottolinea- come ogni strumento di diffusione delle informazioni, contenente peraltro dati personalissimi spesso inseriti con impulsività e scarsa consapevolezza, rappresenta uno strumento in grado di amplificare le conseguenze individuali e comunitarie di comportamenti a rischio, esponendo a microtraumi che, in soggetti vulnerabili, potrebbero innescare o precipitare un malessere psichico. Idem per l’Intelligenza Artificiale”.
Quali sono i soggetti deputati ad accorgersi del gravissimo malessere che porta i ragazzi e le ragazze a compiere il gesto estremo? Secondo la presidente della Società Italiana di Psichiatria, “la scuola dovrebbe vicariare situazioni familiari carenti. Sarebbe inoltre necessario facilitare l’accesso ai servizi di neuropsichiatria dell’infanzia e adolescenza, troppo spesso ostacolato da lunghe liste di attesa e ricoveri in reparti non adeguati al trattamento del bambino e dell’adolescente”.
In quale modo si può risolvere la situazione, o quantomeno tamponarla? E in base alla sua esperienza quanto è aumentato negli ultimi cinque anni il numero di adolescenti che ha necessità di essere seguito da uno psichiatra? “Il leggero aumento di diagnosi riportato, a livello globale- rende noto- è correlato con una maggiore sensibilità, che porta a trattare, come si dovrebbe fare, la patologia prima che si manifestino casi di acuzie, caratterizzati da una maggiore gravità e da una prognosi meno favorevole”.
Come mai c’è tanta paura nell’usare i farmaci per curare bambini e adolescenti affetti da problemi psichiatrici? “I medici adoperano i loro strumenti secondo le linee guida- afferma Liliana Dell’Osso- che naturalmente garantiscono e tutelano il benessere del paziente. Da questo punto di vista si può definire il medico come cauto, ma in un senso positivo. D’altro canto, spesso il pubblico rifiuta lo psicofarmaco, pensando che possa stravolgere la personalità o causare chissà quali drastici danni a quell’ineffabile dimensione che è la personalità di ciascuno. In realtà, semmai, aiutano a non smarrirla in un percorso psicopatologico. Si tratta di una vecchia paura, insomma, in larga parte superata ma in parte, purtroppo, ancora da superare”.
“Come sempre- conclude la presidente della Sip- l’auspicio è che una maggiore conoscenza e una maggiore consapevolezza aiuti a far cadere questi sospetti non utili per chi, di certi presidi medici, ha bisogno”.
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