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ROMA – “Oggi non so se resterei a vita al Milan“, dice Franco Baresi sottoscrivendo una mezza coltellata emozionale ai tifosi rossoneri dalle pagine del Corriere della Sera. Ma il calcio è cambiato, non è più il suo mondo, quello delle bandiere mai ammainate. Lui è vicepresidente onorario, del Milan. Ha scritto un libro sulla sua vita. Racconta che ha rischiato di avere uno stadio intitolato a suo nome in Mongolia, ma “era una mossa elettorale di un candidato che approfittò della mia presenza”.
Ricorda il rigore sbagliato nella finale dei Mondiali di Usa 94: “Credo che Roberto Baggio si debba tranquillizzare, perché la verità è che senza di lui non saremmo mai arrivati fin lì. Io mi sono sempre ritenuto fortunato a giocare quella finale dopo la corsa contro il tempo per recuperare dall’infortunio. E farlo in quel modo, con una delle mie prestazioni migliori, resta un ricordo positivo”.
E il virus del 1981 che lo tenne fuori 4 mesi? “Un’infezione al sangue: una volta individuato lo stafilococco, trovarono l’antibiotico giusto. Ma la ricerca non fu breve. Da giovane pensi di guarire il giorno dopo, ma passare dal campo alla sedia a rotelle fu un momento delicato: non riuscivo quasi a camminare per i dolori e mi facevo delle domande“.
Davvero nella foresta amazzonica ha sentito più frastuono che in un derby? “Sì, è stata un’esperienza che mai avrei pensato di vivere. Ho visto popoli in un mondo a sé, realtà incredibili che ti fanno pensare quanto è vasto il pianeta. Questo ti aiuta a relativizzare e a dare più valore alle piccole cose”.
Con Berlusconi “abbiamo avuto un rapporto molto bello: era attento all’atleta, ma anche alla persona. E ritirare la maglia numero 6 fu qualcosa di mai visto prima. La politica? Qualche volta mi chiedeva se mi sarebbe piaciuto candidarmi a Milano. Poi ha capito che il mio carattere non era adatto. Il calcio è cambiato, io non ho nemmeno mai avuto un procuratore. Restare al Milan era una cosa naturale. Oggi le cifre che girano sono molto diverse”.
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