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Il Pg della Cassazione: “Palamara fuori dalla magistratura”

È la richiesta dell'avvocato generale della Cassazione Pietro Gaeta, "per la particolare gravità delle contestazioni", dopo la requisitoria davanti alla disciplinare del Csm

Pubblicato:08-10-2020 12:30
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:01

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ROMA – Pena massima, ossia “rimozione” dall’ordine giudiziario, per Luca Palamara, pm sospeso dalla funzioni in seguito allo scandalo Procure. E’ la richiesta dell’avvocato generale della Cassazione Pietro Gaeta, “per la particolare gravità delle contestazioni”, dopo la requisitoria davanti alla disciplinare del Csm.

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L’accusa per Luca Palamara è di aver tenuto comportamenti gravemente scorretti nei confronti dei colleghi candidati per il posto di procuratore di Roma e, in particolare, di una strategia di discredito nei confronti del procuratore aggiunto Paolo Ielo. Dopo la requisitoria dell’avvocato generale della Cassazione Piero Gaeta e del pg Simone Perelli, durate complessivamente quasi tre ore, il Consiglio disciplinare del Csm, presieduto da Fulvio Gigliotti, ha preso una pausa. L’avvocato Stefano Giaime Guizzi, consigliere della Cassazione, ha chiosato: “Mi prendero’ anche io tre ore…”.


I fatti per cui la Procura generale della Cassazione chiede l’espulsione di Luca Palamara dalla magistratura sono di “elevatissima gravità “, ha detto Piero Gaeta, che ha definito l’ex presidente Anm un “infaticabile organizzatore, sceneggiatore e regista della strategia” per arrivare alle nomine ai vertici delle Procure di Roma e Perugia. L’accusa ha infatti sottolineato che in un’intercettazione di sente Palamara dire: “Senza di me non si muoverebbe una foglia“. Con le condotte di Palamara, quindi, per la Procura generale si è andati oltre “il pericolo astratto, la soglia è stata ampiamente superata, generando un pericolo concreto” e “solo l’interruzione dovuta alle indagini di Perugia ha impedito” l’effetto di tali condotte. L’accusa ha concluso: “Senza il suo operato non ci sarebbe stata la riunione all’hotel Champagne“.

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Luca Palamara, ha precisato nella sua requisitoria Piero Gaeta, “non è un l’unico capro espiatorio affinchè questo processo diventi tacitazione della cattiva coscienza dell’intera magistratura desiderosa di auto-assolversi, di sacrificarne uno per salvarne mille, di concepire cioè quest’unica vicenda processuale come catartica”. Lui stesso, ha sottolineato l’avvocato generale della Cassazione, si è “attribuito un ruolo demiurigico” nell’organizzazione delle riunioni che hanno avuto il culmine nell’incontro dell’Hotel Champagne. “Nei confronti del dottor Palamara- ha sottolineato Gaeta- sono state rispettate fino in fondo le regole del processo, perché se il dibattimento non è legale nessuna sentenza può essere giusta”.

L’ACCUSA SU PALAMARA: “PATTO A TRE SU PROCURA ROMA PER INTERESSI PERSONALI”

Un patto ‘a tre’ per pilotare le nomine ai vertici delle Procure, in primis quella di Roma, “per interessi personali” e “estranei” alle dinamiche istituzionali interne alla magistratura. E’ quanto emerge dalla requisitoria di Piero Gaeta, Avvocato Generale della Corte di Cassazione, davanti al Consiglio disciplinare del Csm nel corso del procedimento a carico di Luca Palamara.

Un atto di accusa lungo un’ora e mezza che ricostruisce, attraverso il supporto delle intercettazioni della Procura di Perugia, le tappe che hanno portato al processo per l’ex presidente dell’Anm sottintendendo l’esistenza di un ‘sistema’ di pressione esterno al Consiglio superiore delle toghe.  “Tutto si tiene”, dalla nomina del procuratore capo di Roma a scendere: è l’assioma, secondo l’accusa, su cui, la notte tra l’8 e il 9 maggio 2019 all’Hotel Champagne, Palamara assieme a Luca Lotti e Cosimo Ferri, concordavano le nomine con i 5 ex consiglieri del Csm Luigi Spina, Corrado Cartoni, Antonio Lepre, Gianluigi Morlini e Paolo Criscuoli.   

Il patto- spiega Gaeta- prevedeva una catena, un blocco, che doveva partire assieme. Tutto si tiene, una catena, un blocco, che doveva partire assieme e che contemplava innanzitutto, ‘ante omnia’, la nomina del dottor Viola quale procuratore di Roma, quindi la nomina del Procuratore di Perugia e tutto a scendere con la nomina dei due aggiunti” presso le due Procure, uno dei quali Palamara. “La riunione- sottolinea Gaeta- era fuori da qualsiasi schema di legalità” e in particolare sono emersi “gli interessi personali di Palamara”.   

L’accusa continua: “E’ grave la condotta, perchè a mezzo di questa condotta, un provato e personale rapporto di amicizia con alcuni uomini politici, uno dei quali inquisito (Lotti, ndr.), ha scalzato, sostituito e si è integralmente sovrapposto alla corretta e normale interlocuzione istituzionale tra i membri togati del Csm. Cio’ ha comportato che interessi di diversa origine, ancorchè convergenti di tre soggetti estranei contribuisse a indirizzare la nomina del Procuratore della Repubblica di Roma e che questi interessi risultassero di efficacia preminente nella scelta stessa e condizionassero il corretto andamento e la fisiologica evoluzione, a detrimento non soltanto della correttezza della funzione svolta dagli altri membri dell’Organo, ma soprattutto della parità di condizione tra i candidati” oltre a Viola.   

Secondo Gaeta, “Si è trattato cioè di una indebita manipolazione dei meccanismi decisori di tipo istituzionale in sedi non istituzionali in forma occulta e con la partecipazione di soggetti del tutto estranei e aventi un diretto interesse alla nomina stessa”. E non si puo’ usare, ha osservato l’avvocato generale della Cassazione, “l’argomento del ‘si è fatto sempre così’, non è vero, non si puo’ dire perchè è veramente una congiunzione di elementi e di interessi che interessa una pluralità di soggetti tutti estranei alle dinamiche e alle istituzioni consiliari”.  

A supporto della sua tesi Gaeta riporta un passaggio della captazione ambientale tramite trojan in cui Cosimo Ferri, la notte del 9 maggio, dice: “Se va lo schema Viola, noi poi dobbiamo avere il nome per Perugia e poi dobbiamo vedere quando inizia la storia degli aggiunti”. A quel punto Lotti chiede: “Non possono essere fatti insieme?” Palamara risponde: “Tecnicamente si’, ma politicamente bisogna sedimentare…”. E il consigliere Lepre aggiunge: “Poi è tutto a scendere, fatto quello è tutto a scendere…”.   

Secondo la Procura generale della Cassazione cio’ che è avvenuto nella riunione all’hotel Champagne rappresenta “un ‘unicum’ nella storia della magistratura italiana“.

Piero Gaeta, nella sua requisitoria davanti al Collegio disciplinare del Csm, spiega che la riunione all’Hotel Champagne  tra Luca Palamara, Cosimo Ferri, Luca Lotti e i 5 ex togati Csm “si colloca fuori da qualsiasi schema legale dell’interlocuzione consiliare”. E non è stata nemmeno “una istituzionale interlocuzione politica tra membri togati dell’Organo di autogoverno e alcuni membri del Parlamento rappresentanti un altro organo dello Stato. La riunione in esame- continua Gaeta- non è stata cioè una interlocuzione tra componente politica e togata del Csm nell’ambito di quel perimetro costituzionale-ordinamentale che postula a mezzo della stessa composizione mista dei suoi membri questa interlocuzione”. Quindi, “qui non sono in gioco o in discussione prerogative e competenze di un organo di rilevanza costituzionale e dei suoi membri che il Costituente ha voluto appunto non autoreferenziale e monologante rispetto all’ordine giudiziario, ma promiscuo e dialogante con il potere legislativo, cosi’ sancendo che l’alta amministrazione della funzione giurisdizionale sia frutto di una interazione e interlocuzione tra queste componenti”. Ma proprio perchè esiste “un perimetro tracciato dalla Carta costituzionale e realizzato con le sue leggi di attuazione, proprio perchè sono pacifici gli ‘essentialia’ della funzione politica consiliare, la riunione in questione esorbita in maniera evidente da questo perimetro, è altro”.   

Esorbita, dice l’avvocato generale della Cassazione, perchè “il modello perimetrato nella previsione costituzionale, e nella sua attuazione, è sicuramente manipolato e sviato allorquando, nel caso di specie, l’interlocuzione con la politica cancella e scavalca la stessa rappresentanza politica in seno all’organo di autogoverno, scegliendo a piacimento. e in maniera del tutto arbitraria, amicale, altri interlocutori politici per di piu’ imputati o anche interlocutori togati estranei ad ogni responsabilità di rappresentanza (dentro al Csm. ndr.) dunque privi di ogni legittimazione”.    

E “per altro verso è un modello manipolato e sviato perchè piega questa interlocuzione a forme di interesse personale e privato che si sostituiscono integralmente alle finalità costituzionali”. Per Gaeta, “ne risulta un modello totalmente alterato e completamente artefatto, in nulla assimilabile a quello ordinamentale. Chi rappresentava l’onorevole Lotti quella notte all’Hotel Champagne se non se stesso e il proprio personale interesse? E chi rappresentava Palamara quella sera se non se stesso e il proprio personale interesse rispetto a una consiliatura che non era piu’ la sua e rispetto a rappresentanti di Alto potere dello Stato privi di una qualsivoglia veste istituzionale in quel contesto. E chi rappresentava l’onorevole Ferri quella sera se non se stesso e il proprio personale interesse consistente nella circostanza di risultare il ‘King maker’ del procuratore di Roma e di stabilizzare il sodalizio con il dottor Palamara e l’onorevole Lotti per possibili eventuali future pianificazioni?”. E quali interessi rappresentavano “gli altri comprimari presenti, vale a dire gli ex consiglieri Csm, considerando che costoro costituivano il gruppo stabilmente cooptato dal dottor Palamara e disponibile a farsi tramite di istanze improprie e provenienti da sedi improprie quali quella ad esempio dell’onoverole Lotti. Certamente questi magistrati non erano stati votati dagli altri magistrati italiani per incontrarsi con l’onorevole Lotti in relazione alla nomina del Procuratore di Roma”.

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