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Ku Klux Klan, tra passato e presente 

di Linda Gordon per www.rivistailmulino.it L’aggressività e la ferocia dei nazionalisti bianchi e dell’alt-right in generale non è un fenomeno nuovo negli Stati

Pubblicato:08-09-2017 12:56
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:40

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di Linda Gordon per www.rivistailmulino.it

L’aggressività e la ferocia dei nazionalisti bianchi e dell’alt-right in generale non è un fenomeno nuovo negli Stati Uniti. Alcuni di loro sono membri di un reviviscente Ku Klux Klan.

La maggioranza degli americani concepisce il KKK come una società segreta del Sud sorta al termine della guerra di secessione con uno scopo ben preciso: reimporre la schiavitù agli afroamericani e impedire loro di rivendicare i propri diritti di cittadini. Alla sua seconda comparsa, che ebbe luogo negli anni Venti del Novecento, il Klan era per certi versi mutato, eppure manteneva in comune con la versione originaria un elemento fondamentale: alimentare la rabbia e il timore che le persone sbagliate si stessero impadronendo del Paese.


Negli anni Venti il Klan rivendicava da 4 a 6 milioni di membri negli Stati del Nord (la mia città natia, Portland, nell’Oregon, ne era una delle roccaforti). Nient’affatto segreta, l’organizzazione reclutava adepti mediante annunci sui giornali, ed elesse sedici senatori, una moltitudine di membri del Congresso (settantacinque, secondo il Klan) e undici governatori. Dichiarava di essere non-violenta.

Ma se a parole i suoi leader predicavano la non-violenza, la retorica del Klan ambiva a instillare nella gente rabbia e paura. Consapevole che il razzismo contro i neri non costituiva uno stimolo sufficiente al Nord, dove nei primi anni Venti vivevano pochi afroamericani, il Klan indirizzò la propria rabbia verso cattolici, ebrei e immigrati. Conscio del potere esercitato dalla paura nello stimolare quella rabbia, divulgò una raffica di notizie fasulle per spaventare i propri sostenitori.

Per fare qualche esempio: cattolici ed ebrei erano emigrati non in cerca di una vita migliore o per sfuggire alla povertà e alla persecuzione, bensì perché inviati dai loro sovrani a sabotare la nazione. Il papa aveva ordinato la costruzione di un palazzo a Washington D.C., con un trono d’oro puro: il Vaticano si stava accingendo alla presa del potere in suolo statunitense. Ecco perché i cattolici erano a capo del 90% delle forze di polizia americane. Gli ebrei controllavano Hollywood – in ossequio ai Protocolli degli Anziani di Sion (un documento falso creato in Russia nel quale gli ebrei venivano dipinti come orditori di una cospirazione internazionale mirante al dominio sul mondo) – con l’obiettivo di attentare all’illibatezza delle ragazze americane. Queste false religioni, comprese l’ortodossia russa e greca, si ribellavano al proibizionismo nel tentativo di indebolire la tempra del popolo americano. Nel West i contadini nippo-americani progettavano di cacciar via tutti i contadini americani.

Di quando in quando il secondo Klan viene etichettato come una tipica forma di populismo di destra. Ma se per populismo si intende un movimento che rappresenti gli interessi dell’«uomo qualunque», dell’«uomo comune», allora non aveva quasi nulla di populistico. Il Klan non promosse mai riforme che avvantaggiassero il 99% della popolazione, per usare un’espressione contemporanea. Per contro, nell’ultimo decennio dell’Ottocento il Partito Populista propose l’introduzione dell’imposta progressiva sul reddito, della votazione a scrutinio segreto, dell’elezione diretta dei senatori, della giornata lavorativa di otto ore e di un tetto massimo per le sovvenzioni alle imprese private da parte dei contribuenti. Al pari dei Populisti, il Klan propugnava la tesi che il Paese fosse stato derubato. Ma mentre i primi attribuivano ai magnati e ai monopolisti la colpa delle frodi perpetrate ai danni delle famiglie contadine, dei lavoratori e dei consumatori, il Klan accusava i non protestanti, gli immigrati e i «progressisti» urbani.

Gli odierni mezzi di comunicazione di massa – stampa, radio, Tv e Internet – stanno determinando una spaccatura sempre più profonda fra gli americani, offrendo agli utenti solo e soltanto informazioni che riflettono il loro stesso punto di vista. Negli anni Venti il Klan perseguì un identico fine. Possedeva o controllava circa 150 riviste o quotidiani e diverse stazioni radiofoniche, i social media dell’epoca. Circa 40.000 ministri del culto – secondo una stima probabilmente esagerata; ma in ogni caso si trattava di diverse migliaia – abbracciavano l’ideologia del Klan. Se Gesù Cristo fosse ancora vivo, insisteva uno di questi, sarebbe un membro del Klan. Il pericolo rappresentato dalle fake news e dagli alternative facts ha dunque un precedente…

Oggi i nazionalisti bianchi e gli alt-rightists si attestano su posizioni differenti. L’attuale assenza di un’organizzazione centrale guidata da un Gran Maestro sembrerebbe ridimensionare la minaccia, ma la decentralizzazione rende più difficile frenarli. Colpiscono anche altri elementi di somiglianza. Allora come ai giorni nostri, la polizia ha annoverato fra le proprie fila appartenenti o simpatizzanti del Klan. Se nel corso degli anni Trenta il Klan mitigò le proprie posizioni anti-cattoliche, d’altronde non rinnegò mai il proprio marcato antisemitismo. (Come sottolinea Eric K. Ward del Southern Poverty Research Center, da sempre razzismo bianco e antisemitisimo sono strettamente alleati.) In pochi vedevano i propri interessi pregiudicati dal Klan, e, anzi, trassero giovamento dalla sua tendenza a fomentare il malcontento nei confronti delle razze, delle etnie e delle religioni «aliene». Questa riluttanza a condannare il fanatismo trova oggi un parallelo nella Casa Bianca e in molti esponenti repubblicani del Congresso.

Le politiche che avvantaggiano l’1% della popolazione hanno la strada spianata nel momento in cui gli americani vengono incoraggiati ad accusare le persone di colore, gli ebrei, i musulmani, le donne e gli Lgbt, anziché i veri responsabili, per aver perso il lavoro e per aver subito una diminuzione del proprio reddito e del proprio prestigio sociale. Questa retorica del «capro espiatorio» ha le sue conseguenze. E quando le si ignora o addirittura le si nega – è il caso del vice assistente di Trump, il quale sostiene che i nazionalisti bianchi non rappresentino un problema – siamo nei pasticci. La distanza fra il presidente americano e il Ku Klux Klan si sta riducendo, e non accrescendo. Come ha detto al raduno di Charlottesville David Duke, ex Gran Maestro, «onoreremo le promesse di Donald Trump».

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