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ROMA – Votare è “un diritto democratico di ogni cittadino” ma domani, per gli esponenti della comunità shona del Kenya, anche “un sogno che diventa realtà“. All’agenzia Dire, “ansioso” di poter dire la sua alle urne per la prima volta, lo dice Mxhlancano Tshuma, un portavoce della Community of Shona in Kenya di 25 anni d’età. Fra meno di 24 ore i seggi elettorali delle 47 contee del Paese africano apriranno le loro porte: circa 22 milioni di elettori aventi diritto saranno chiamati a scegliere il successore del presidente Uhuru Kenyatta, oltre che a rinnovare la composizione del Parlamento e a scegliere i governatori locali. Una giornata importante, per un Paese è che la seconda economia più grande dell’Africa orientale se si guarda al Prodotto interno lordo (Pil) e la prima se si tiene in conto il reddito medio. Una giornata storica, per i circa 4mila shona che risiedono nel Paese. Giunti dallo Zimbabwe intorno al 1960, all’epoca Rhodesia del sud e colonia britannica, come missionari cristiani, gli esponenti di questa comunità hanno avuto due anni per poter diventare cittadini kenyani fra il 1963, l’anno dell’indipendenza dalla Gran Bretagna di Nairobi, e il 1965. Molti, per varie ragioni, hanno perso questa occasione, ritrovandosi apolidi e subendo anche politiche discriminatorie e abusi, soprattutto durante il governo autoritario dell’ex presidente Daniel Toroitich arap Moi, al potere fra il 1978 e il 2002.
Nel dicembre 2020, un anno dopo una dichiarazione di impegno all’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), lo Stato del Kenya ha concesso la cittadinanza ai membri di questa comunità, consegnando 1670 carte d’identità kenyane ad altrettanti cittadini shona. L’evento è stato sancito nel corso della cerimonia per il 57esimo anniversario dell’indipendenza che si è svolta nello stadio Nyayo della capitale Nairobi. Nello stesso giorno anche 1300 cittadini di origini ruandesi hanno ricevuto la cittadinanza. Quattro anni prima la comunità dei makonde, originaria del Mozambico, aveva ottenuto questo status sempre con una cerimonia ufficiale.
La politica del Kenya, il linea con quella tracciata dall’Onu, è di mettere fine all’apolidia. Nel Paese, secondo l’Unhcr, sono ancora 18.500 le persone che vivono in questa condizione. “E’ arrivato il momento giusto per il governo di coinvolgere tutte le parti in causa e di elaborare delle misure che garantiscano la cittadinanza a tutte queste persone”, scandisce Tshuma, che era presente allo stadio di Nairobi il giorno in cui è stata celebrata la concessione della cittadinanza, e che ribadisce: “Parliamo di 18.500 persone, un numero tale da rendere necessario un intervento da parte delle autorità“.
Tshuma, che vive nella Contea di Kiambu, la “casa degli shona” a pochi chilometri dalla capitale dove la comunità si trasferì per fondare una sua chiesa nel 1959, parla con la consapevolezza di chi ha vissuto una condizione di marginalità, pur definendosi “fortunato”. “Io lavoro come tecnico elettrico è faccio parte di una elitè di persone che ha potuto studiare- evidenzia- la maggior parte delle persone shona non ha avuto accesso all’istruzione a causa della mancanza di documenti”. Tornando alle elezioni di domani, l’attivista si conferma ottimista. In Kenya il voto è stato più volte ragione di tensioni e violenze. Dopo l’annuncio dei risultati delle ultime consultazione del 2017 divamparono degli scontri che causarono la morte di oltre dieci persone e il ferimento di un centinaio. “Uomo avvisato, mezzo salvato”, mette subito in chiaro Tshuma. “Noi kenyani abbiamo imparato una lezione dal caos delle precedenti tornate elettorali e saremmo stupidi, oltre che folli, a voler rivivere una condizione del genere. Ora il Paese è diverso, più sicuro, il motto che aleggia nel Paese segna la strada: “Kenya hakuna matata na tunasonga mbele”, aggiunge l’attivista in lingua swahili, affermando, letteralmente, “andrà tutto bene, andiamo avanti“.
Gli elettori kenyani potranno scegliere fra quattro candidati. Stando a tutti i sondaggi rilanciati dai media di Nairobi, i due protagonisti del voto saranno l’ex primo ministro e acerrimo rivale di Kenyatta Raila Odinga, che ora gode del sostengo del capo di Stato, e il vice presidente in carica William Ruto. Quest’ultimo invece, paradossalmente, è l’avversario principale delle politiche del capo dello Stato, che non si può ricandidare in quanto giunto al secondo mandato, l’ultimo consentito a un presidente stando all’ordinamento del Kenya. Fra i temi che hanno dominato la campagna elettorale ci sono l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e l’inflazione, la siccità, che colpisce duramente diverse aree del Paese, e poi la lotta al terrorismo, incarnata soprattutto nel contrasto alla milizia jihadista Al Shabaab, di base in Somalia ma responsabile di numerosi sconfinamenti.
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