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Cappellotto: “A sportivi dico, fate squadra con le afghane”

Premio Amnesty a ex campionessa ciclismo: portò atlete in Italia

Pubblicato:08-06-2022 14:30
Ultimo aggiornamento:08-06-2022 14:30

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ROMA – “Il premio che ho vinto può certamente accendere i riflettori sull’Afghanistan, ma vorrei che servisse a trasmettere un messaggio agli atleti: tutto quello che lo sport ci dona – tenacia, cuore, amore per le sfide e la conoscenza di tante persone – può essere restituito aiutando gli altri, con facilità”. Ne è certa Alessandra Cappellotto, veneta, una carriera da ciclista su strada, prima in Italia a conquistare il titolo mondiale ai campionati di San Sebastian nel 1997.

L’agenzia Dire la intervista perché è a lei che Amnesty International e Sport4Society hanno conferito l’edizione 2022 di ‘Sport e diritti umani’, che premia quegli atleti che hanno compiuto imprese in campo “umanitario”, sposando cause solidali o di tutela dei diritti umani, e che nelle passate edizioni ha visto brillare l’ex calciatore Claudio Marchisio, il cestista Pietro Aradori e il Pescara Calcio.

Cappellotto stavolta ha tagliato il traguardo perché si è prodigata per settimane per portare in Italia un gruppo di giovani cicliste mentre l’Afghanistan cadeva in mano ai combattenti talebani che in poco tempo hanno imposto un regime che è arrivato a vietare la scuola e il lavoro alle donne, imponendo anche l’obbligo di indossare il velo integrale.


E l’impegno di Cappellotto non si è esaurito: continua a seguire le atlete nella loro vita quotidiana, tra allenamenti, studi universitari e nostalgia di casa. “La più giovane ha 16 anni e spesso ci chiede della mamma e del papà, rimasti in Afghanistan” racconta. “Il nostro principale obiettivo è permettere che si ricostruiscano una vita qui, con la speranza che un giorno possano tornare nel loro Paese”.
Portare queste giovani in Italia, un gruppo di 14 persone di cui fanno parte anche due ciclisti e alcuni parenti delle atlete, è stato un lavoro tutt’altro che semplice ma che Cappellotto è riuscita a portare a termine grazie all’associazione creata qualche anno fa proprio per sostenere le cicliste dei Paesi in via di sviluppo. Una sensibilità che combina l’amore per lo sport con l’attenzione per i diritti delle donne e le pari opportunità.

“Quando ho concluso la carriera- ricorda l’ex campionessa del mondo- mi sono resa conto che neanche nei Paesi ciclisticamente avanzati come Italia, Francia o Spagna esisteva un solo sindacato che rappresentasse le cicliste professioniste. La Cycling Professional Association, infatti, è solo per uomini. Così, ho fondato la Cycling Professional Association – Women”.
Un’associazione di cui oggi è presidentessa.

“Dopo un po’ di tempo hanno iniziato a contattarmi cicliste dal Ruanda, poi da Nigeria, Costa d’Avorio, Algeria, per avere aiuto con l’attrezzatura o il visto per l’estero”. Ragazze e donne appartenenti a contesti dove a volte alla passione per lo sport, bisogna anteporre la lotta per la sopravvivenza.
“Scoprendo le loro storie e il loro modo di portare avanti il ciclismo nonostante le difficoltà, mi sono sempre più appassionata” ammette Cappellotto, che per rendere più agile il suo lavoro ha creato l’associazione Road to Equality.

E’ stato grazie a questa rete di associazioni che l’8 marzo 2021 – 160 giorni prima dell’arrivo dei talebani – Cappellotto organizza a Kabul una gara di ciclismo femminile con la Federazione ciclistica afghana. “E’ stata una manifestazione importante ed entusiasmante per le atlete” dice la fondatrice di Road to Equality, “ma dopo qualche settimana il presidente della Federazione mi avvertì che la situazione stava diventando preoccupante”. I guerriglieri stavano guadagnando terreno.

Cappellotto decide di mettersi “subito a disposizione”, proponendo che le atlete possano essere messe al sicuro in Italia. Poi, il 15 agosto, l’ingresso dei talebani nei palazzi del governo di Kabul. Da allora fino al 31 agosto, giorno in cui le truppe americane hanno lasciato il Paese ed è terminato il ponte aereo organizzato dal governo Draghi, “abbiamo lavorato quasi 24 ore su 24, mobilitando le istituzioni italiane e l’Unione ciclistica internazionale (Ciu). Fondamentale anche l’organizzazione Cospe Onlus (attiva con progetti di sviluppo fino al 2018, ndr) che ci ha supportato nella selezione delle persone da inserire in lista”. Giorni intensi spesi a rispondere a richieste di aiuto, dare rassicurazioni, nonché raccogliere e trasmettere documenti alle autorità italiane mentre la lista “spuria” delle cicliste si andava ingrossando coi nomi di alcuni famigliari che correvano troppi rischi a restare nel Paese.

Il tutto in coordinamento coi militari italiani sotto il comando del generale Leonardo Tricarico. “Il momento peggiore?” risponde Cappellotto. “Quando ci è stato chiesto di ‘sfoltire’ la lista perché non c’erano sufficienti posti a bordo. Ma anche quando abbiamo saputo dell’attentato all’aeroporto, a cui il nostro gruppo è scampato. I militari italiani sono stati cruciali nel darci suggerimenti per tutelare le ragazze, che per giorni hanno dormito fuori dell’aeroporto aspettando di poter salire sui C130 italiani. Alcune sono state picchiate dai talebani, altre minacciate. C’è chi non ce l’ha fatta ed è tornata a casa. Siamo ancora in contatto con loro, continuano a chiederci aiuto anche profughi arrivati intanto in Iran e Turchia”.

Per questo Cappellotto conclude lanciando un appello agli sportivi: “Per me, fare il Tour de France, il Giro d’Italia, così come le ore trascorse in allenamenti estenuanti mi hanno tolto la paura degli ostacoli e donato la forza per superarli, oltre ad avermi permesso di fare la conoscienza di molte persone. Sono tutti strumenti che mi hanno permesso di aiutare chi ha bisogno, nonostante vivessi lontanissima da queste questioni. Ha funzionato per me che sono una ciclista ma vale per tutte le altre discipline”.
Una fatica, assicura l’ex campionessa mondiale, che premia con le soddisfazioni: “E’ stata una gioia indescrivibile iscrivere le nostre ragazze all’università, oppure vederle domenica scorsa salire in bici e partecipare a una Gran fondo, pensando a quello che ora invece le attenderebbe nel loro Paese”.

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