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ROMA – Un ragazzo a terra esanime insanguinato, una giovane con addosso i segni di un abuso sessuale, una donna transessuale recante tracce di un pestaggio. In mano o accanto ai loro corpi, cartelli che mostrano i dati delle violazioni attribuite alle forze dell’ordine e all’esercito della Colombia in oltre un mese di proteste di piazza contro il governo: 3.789 casi di violenza, 45 morti, 25 aggressioni sessuali, sei vittime lgbt+ di violenza, 65 ferimenti agli occhi. A “mettere in scena” questi abusi è stato il gruppo di attivisti di Network Colombia Italia, che venerdì ha organizzato un flash-mob davanti gli uffici della Rai di viale Mazzini, nel quartiere Prati di Roma.
La protesta, come hanno spiegato gli stessi promotori all’agenzia Dire, ha avuto l’obiettivo di sensibilizzare e al contempo esortare i media italiani a fornire un resoconto più ampio e a loro avviso equilibrato di quanto sta avvenendo nel Paese sudamericano almeno a partire dal 28 aprile.
Una protesta promossa inizialmente per chiedere la revoca di un disegno di legge fiscale, poi ottenuta, si è tramutata nel corso delle settimane in una ben più ampia espressione di dissenso nei confronti dell’operato del governo presieduto da Ivan Duque.
All’origine del disappunto degli attivisti ci sono anche recenti interviste concesse dall’ambasciatrice colombiana a Roma, Gloria Ramirez Rios: la rete di colombiani in Italia contesta il fatto che a diversi media del nostro Paese la diplomatica abbia descritto la mobilitazione in atto come costituita per lo più da violenti e “infiltrata da terroristi”.
“Abbiamo scelto di venire qui perché ci sembra che oltre a rilanciare le affermazioni di personaggi molto vicini al governo come Ramirez Rios, che non sentiamo ci rappresenti in questo momento, non si stia indagando abbastanza su cosa sta succedendo nel nostro Paese” dice un’attivista di Network Colombia Italia, che chiede di mantenere l’anonimato per “motivi di sicurezza”. La giovane solleva però anche un altro punto: “Siamo consapevoli che la Colombia non è la crisi dei migranti, o quello che succedendo tra Israele e Palestina. Sembra avere delle ripercussioni meno dirette sulla realtà italiana e si crede che possa generare meno seguito e per questo viene ignorata. C’è però una questione che dovrebbe essere di enorme importanza per tutti ed è quella delle violazioni dei diritti umani sistematiche e degli omicidi che, come avvengono ora nel nostro Paese, potrebbero un giorno verificarsi in regioni normalmente ritenute democrazie”.
Il flash-mob organizzato dagli attivisti è solo l’ultima di una serie di attività che mira a far crescere il coinvolgimento dei media e della politica italiana rispetto alla questione. Nei giorni scorsi 19 tra deputati e senatori hanno inviato una lettera diretta a Duque, un’iniziativa a cui è seguita un’altra missiva da parte di sette parlamentari indirizzata alla procuratrice capo della Corte penale internazionale con sede all’Aia, Fatou Bensouda, rilanciando una richiesta di intervento del tribunale partita dalla società civile colombiana.
Proprio quest’ultimo documento è stato consegnato venerdì al vicedirettore della Rai per quanto riguarda le relazioni con Parlamento e governo, Lorenzo Ottolenghi, insieme ai dati sulle violenze raccolti giornalmente dalla ong Temblores, in un “atto simbolico” che intende continuare a chiedere di mantenere alta l’attenzione.
“Finora il governo italiano non si è pronunciato molto sulla questione, forse anche in attesa che gli Stati Uniti lo facciano con maggiore chiarezza” annota un attivista. “Eppure il vostro Paese, insieme nell’Unione Europea, ha sostenuto anche economicamente il percorso che ha portato agli accordi di pace del 2016 con il gruppo armato delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc). Secondo noi sarebbe giusto monitorare con più attenzione dove sono finiti quei finanziamenti, se a consolidare la pace o a essere usati per comprare le armi che in questi giorni stanno utilizzando polizia e militari”.
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