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Perù, Cano (Aprodeh): “Paese diviso, l’élite contro Castillo”

Castillo, nativo della regione settentrionale della Cajamarca, terra di 'campesinos' e miniere, ha assunto il ruolo di rappresentante del mondo contadino

Pubblicato:08-06-2021 15:58
Ultimo aggiornamento:09-06-2021 20:24
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ROMA – Il voto di domenica in Perù ha messo in luce un Paese “diviso tra la capitale Lima e il nord costiero da una parte e il resto del Paese dall’altra” ed è stato avvelenato da una campagna elettorale “polarizzata” e “fuori dalle regole” condotta perlopiù “a favore di Keiko Fujimori”. E’ la lettura di Gloria Cano, avvocato difensore dei diritti umani e responsabile dell’equipe legale dell’organizzazione Asociacion Pro Derechos Humanos (Aprodeh). L’intervista con l’agenzia Dire si tiene mentre si sta per concludere lo scrutinio delle schede. Domenica 22 milioni di peruviani si sono recati alle urne per decidere le sorti del ballottaggio alla presidenza.

Al secondo turno sono arrivati due candidati a sorpresa, almeno stando alle proiezioni della maggior parte dei sondaggi che avevano preceduto il primo turno di aprile. Pedro Castillo, ex leader sindacale e maestro delle scuole rurali, rappresentate di Perù Libre è avanti con il 50,28 per cento dei voti. Keiko Fujimori, figlia dell’ex presidente Alberto Fujimori e candidata di Fuerza Popular, è ferma invece al 49,71 per cento delle preferenze. I primi risultati avevano fatto intendere una dinamica opposta, con Fujimori avanti e Castillo a inseguire, sempre divisi da poche decine di migliaia di voti. A mancare però era ancora lo scrutinio di larga parte del voto delle regioni rurali e dei peruviani residenti all’estero. L’evoluzione di queste ore era quindi prevedibile, secondo Cano, visto che “è risaputo che il mondo contadino predilige Castillo mentre la diaspora preferisce la candidata di Fuerza Popular”.

Secondo l’avvocato, a prescindere dall’esito del voto, è già possibile fare delle valutazione su questa tornata elettorale, giunta al termine di una stagione complicata segnata da mobilitazioni popolari, dalla rapida successione di tre presidenti nel giro di dieci giorni a novembre e dalla pandemia di Covid-19, che in Perù ha fatto registrare il più alto tasso di mortalità del pianeta.


“Quella che emerge è una frattura tra Lima e la costa del nord e tutto il resto del Paese” sottolinea Cano, convinta che a pesare sia stata una campagna incentrata sulle origini, tanto geografiche quanto di estrazione sociale, dei due candidati. Mentre Fujimori è infatti ritenuta rappresentate dell’elite economiche della regione di Lima, Castillo, nativo della regione settentrionale della Cajamarca, terra di ‘campesinos’ e miniere, ha assunto il ruolo di rappresentante del mondo contadino.

A caratterizzare l’ultima fase della campagna elettorale è stato però anche il ritorno della violenza. Il 24 maggio in un attacco nella regione di Junin, circa 400 chilometri a est di Lima in direzione foresta amazzonica, sono rimaste uccise 16 persone. La strage è stata attribuita a un gruppo armato di ispirazione comunista, costola del movimento di Sendero Luminoso, che per 20 anni tra il 1980 e il 2000 portò avanti un conflitto con lo Stato peruviano. “Hanno cercato di legare la figura di Castillo a quella dei guerriglieri” evidenzia Cano. “I risultati che sono stati registrati nelle zone dove questo movimento agiva negli anni ’80 e ’90 ci fanno capire però che questa mossa non ha fatto breccia”.

Secondo l’esponente di Aprodeh, ci sono “stigmatizzazioni” e “un fronte comune di media e classe imprenditoriale a favore di Fujimori che, è utile ricordarlo, è ancora sotto processo con le accuse di riciclaggio di denaro“. Il riferimento è alle indagini per finanziamento illecito a campagne elettorali che sarebbe stato erogato dalla multinazionale brasiliana Odebrecht. Nel gennaio 2020 queste accusano avevano portato i giudici a condannare la candidata di Fuerza Popular, al terzo tentativo di arrivare alla presidenza, a 15 mesi di detenzione preventiva. Al netto di tutto questo, la realtà peruviana resta però complessa, secondo Cano. “La pandemia ha messo a nudo non solo la situazione precaria del sistema sanitario e dell’istruzione, ma anche la mancanza di diritti del lavoro” sottolinea l’esponente di Aprodeh. “La popolazione questa volta vuole un cambiamento di sistema”.

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