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Disoccupazione all’orizzonte? De Masi: “La causa non sono solo i licenziamenti”

Il sociologo Domenico De Masi: "Nel Pnrr non c'è nulla su come affrontare il cambiamento dato dalla digitalizzazione. L'intelligenza artificiale si abbatterà sul mercato del lavoro"

Pubblicato:08-06-2021 12:27
Ultimo aggiornamento:08-06-2021 13:05

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“Tra qualche settimana confluiranno diversi fattori, tutti volti ad uno scenario di disoccupazione. Il termine del blocco dei licenziamenti è solo un aspetto, perché dopo oltre un anno e mezzo di mancati incassi dovuti alla pandemia e alla riduzione dei profitti, molte imprese chiuderanno e l’aspetto digitale del lavoro, dovuto al progresso tecnologico, sta già inducendo uno spostamento del lavoro dalle persone ai robot. A questo va aggiunto lo smart working, che metterà alcuni servizi nella condizione di non essere più richiesti, con la conseguenza di una contrazione del lavoro e forse con la scomparsa di alcune tipologie di servizi”. Così Domenico De Masi, ordinario di Sociologia dell’Università La Sapienza di Roma, commenta con la Dire quello che attende centinaia di migliaia di lavoratori, in vista della fine del blocco dei licenziamenti, previsto dal decreto Sostegni bis per il 30 di giugno, impiegati nelle grandi aziende che non utilizzeranno più la cassa integrazione.


“NEL PNRR NULLA SU COME AFFRONTARE IL CAMBIAMENTO DEL LAVORO DIGITALE”

“Per giunta – prosegue De Masi -, nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), non c’è una riga su come affrontare il cambiamento conseguente alla digitalizzazione. Una tempesta perfetta a cui non ci si sta preparando”. Un quadro, quello descritto dal sociologo che ha dedicato parte dei suoi studi proprio all’evoluzione del mercato del lavoro e del lavoro creativo, a cui non fa da contraltare neppure il Pnrr, come egli stesso spiega: “Le infrastrutture e gli interventi previsti dal Recovery Plan, con cui realizzeremo il piano di ripresa e resilienza, offriranno la possibilità di nuovi impieghi ma non sarà un’opportunità duratura nel tempo perché, una volta terminate le opere previste dal piano, immaginiamo tra il 2026 e il biennio successivo, quei lavori potrebbero andare ad esaurimento”. Ci sarà quindi una prima fase di forte ri-occupazione appena il piano sarà messo in atto ma anche una fase di decrescita, non appena le opere previste dal piano saranno realizzate, spiega ancora De Masi: “La digitalizzazione colpirà il lavoro, anche quello intellettuale e cognitivo, e nessuna azione è stata messa in campo per gestire e contenere questa fase”.


LA DIGITALIZZAZIONE COLPISCE IL LAVORO INTELLETTUALE E CREATIVO

Se si parla, quindi, di lavoro intellettuale che verrà sostituito dalla digitalizzazione e quindi dall’Intelligenza Artificiale (AI), c’è da attendersi che buona parte di professionisti impiegati nel lavoro intellettuale e creativo, ovvero i lavoratori meno tutelati, saranno i più colpiti dai cambiamenti all’orizzonte. “Saranno manager e lavoratori creativi ad essere investiti dalla trasformazione dell’intelligenza artificiale, ma anche avvocati, ingegneri – spiega De Masi – L’intelligenza artificiale si abbatterà sul mercato del lavoro in un duplice senso: da una parte sarà un bene che l’AI si sostituirà al lavoro umano, perché gli esseri umani non sono fatti per produrre lavoro in modo ripetitivo, dall’altra però aprirà un tema, già esploso in realtà, sulla distribuzione della ricchezza prodotta dalle macchine intelligenti. Nelle mani di chi andrà? – chiede il professore – Anche questo è un aspetto fondamentale, perché la ricchezza prodotta dalle macchine è attualmente nelle mani di pochi ricchi e super ricchi e ci saranno sempre meno persone nelle condizioni di acquistare prodotti e servizi generati da questo tipo di economia. Noi stiamo andando verso un mondo molto diverso da quello che conosciamo, in cui dobbiamo affrontare il tema della redistribuzione del lavoro, della ricchezza, e anche del potere e del sapere. Oltre lo sblocco dei licenziamenti, siamo alla vigilia di una rivoluzione epocale“, sostiene De Masi.


KEYNES E LE ‘PROSPETTIVE PER I NOSTRI NIPOTI’

“Ho letto entrambe le bozze del piano del Recovery, sia quella del governo Conte che quella del governo Draghi, prima che fosse inviata all’Europa: mi ha stupito la quasi totale simmetria dei due prodotti, ma soprattutto mi ha stupito che al suo interno non vi sia alcuna consapevolezza del ruolo della digitalizzazione sul lavoro umano. Eppure, la digitalizzazione attraversa tutte le missioni di applicazione del piano e non viene considerato che più digitalizzazione c’è e meno lavoro umano vi sarà”, sottolinea De Masi. “Intendiamoci, la digitalizzazione è un bene se è adeguatamente governata, perché consente più spazio al tempo libero e alla produttività, senza impegnare l’uomo in lavori noiosi e deleteri per la sua creatività. Che questa fosse la strada verso cui tendere ce lo aveva già detto l’economista John Maynard Keynes, in una sua relazione del 1930 esposta alla conferenza della Società delle Nazioni, in Spagna, dall’eloquente titolo ‘Prospettive per i nostri nipoti'”.

“FORMARE I GIOVANI ANCHE PER IL TEMPO LIBERO”

E chi erano i giovani a cui si riferiva Keynes? “I giovani che sarebbero entrati nel mondo del lavoro nel 2030 – rivela il sociologo – ai quali consegnava nel 1930 questa prospettiva: il progresso creerà le condizioni per cui i giovani di questi anni avranno quasi risolto il problema economico. Ciò di cui ci sarà bisogno, nel 2030, verrà quasi interamente prodotto dalle macchine. Ciò che resta potrà essere prodotto in sole 15 ore di lavoro a settimana”, ricostruisce De Masi dalla relazione dell’economista. “Ebbene i metallurgici tedeschi, dal gennaio 2019, lavorano 15 ore a settimana – afferma De Masi – Keynes, nella sua lectio, aggiunse che per qualche tempo ancora avrebbero resistito quelli che chiamiamo workaholic e che il vero problema sarebbe stato il tempo libero, perché ci vuole una certa cultura per sapere gustare la bellezza del tempo non lavorato. La sfida sarà quindi formare i giovani non solo per il lavoro, ma anche per il non lavoro“, conclude.

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