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Non solo fame e guerre: in ‘Mareyeurs’ ecco l’Africa che vive

Con questo spirito Matteo Raffaelli ha girato un documentario realizzato a Mbour, nel sud del Senegal

Pubblicato:08-06-2018 08:38
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:14

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ROMA – “Attraverso il mio documentario ho voluto raccontare un’Africa positiva, fatta di persone che sanno fare bene il proprio mestiere. Gli europei devono conoscere anche questo lato, perche’ l’Africa non e’ solo fame, guerre e poverta’”. Con questo spirito Matteo Raffaelli ha girato ‘Mareyeurs’, un documentario realizzato a Mbour, nel sud del Senegal, sulla vita dei pescatori e soprattutto dei “pescivendoli”, da cui il titolo in francese. I “mareyeurs”, spiega il regista all’agenzia ‘Dire’, sono gli intermediari tra i pescatori e le aziende locali per la trasformazione dei prodotti. Una parte fondamentale insomma del sistema che ruota intorno alle pesca tradizionale, un settore che in Senegal occupa oltre un milione e mezzo di persone, ma che inquinamento e pesca industriale stanno mettendo in ginocchio.

Non è un lavoro di denuncia

“Negli ultimi anni gli stock ittici si sono ridotti dell’80 per cento. Un battello industriale puo’ arrivare a pescare in un giorno quanto 50 piroghe in un anno” calcola Raffaelli, che tuttavia avverte: “Il mio non e’ un lavoro di denuncia. E’ il racconto della vita di queste persone, che io stesso ignoravo. Qualche mese fa sono andato in Senegal a trovare un amico, Francesco Congiu – poi produttore della pellicola attraverso Ocen Film – quando ho scoperto cosa accade sulle spiagge quando tornano le piroghe cariche di pesci: ho sentito esplodere la vita, letteralmente”. Il pescato, in Senegal, viene venduto direttamente sulla spiaggia. “Le donne – spiega il regista – sono incaricate di trattare coi pescatori, e poi lo rivendono a loro volta, un sistema che tradizionalmente garantisce anche a loro un certo guadagno”.

Le discussioni animano la costa di colori, odori, suoni

“La quintessenza della sopravvivenza” dice Raffaelli, convinto che poi il pescato e’ di alta qualita’: “Quando raggiunge le nostre tavole, il piu’ delle volte noi italiani non sappiamo che proviene da li’. Cosi’, spesso acquistiamo prodotti realizzati con metodi poco chiari. Se invece conoscessimo questa filiera potremmo orientare meglio le nostre scelte di consumo. E al tempo stesso, questo garantirebbe alle popolazioni una redistribuzione del reddito che assicurerebbe loro una vita migliore”.


Il crollo degli stock ittici sta mettendo a dura prova la sopravvivenza di queste persone

Il crollo degli stock ittici sta mettendo a dura prova la sopravvivenza di queste persone, e quindi di un sistema sociale ed economico secolare, che Raffaelli racconta attraverso la storia di Ibrahima: “Si tratta di un ‘mareyeur’ dal cui lavoro dipendono non solo la moglie e la figlia piccola, ma anche una trentina di persone della sua ‘famiglia allargata’. Ibrahima e’ un professionista, conosce il suo lavoro, e quindi si rende conto che forse nei prossimi anni il pesce nel mare del Senegal finira’. Inizia cosi’ a rfilettere sulla possibilita’ di emigrare in Italia”. Tutti pero’ lo sconsigliano, anche un colonnello della gendarmeria, che Ibrahima incontra per sapere di quali documenti avra’ bisogno. “Dal loro dialogo – riprende Raffaelli – scopriremo che Ibrahima, come la maggior parte dei senegalesi, non sa cosa succede a Lampedusa, ne’ tutte le difficolta’ che i migranti si trovano ad affrontare durante il viaggio e una volta arrivati in Europa”. 

La storia di Ibrahima diventa l’occasione per parlare del travaglio di un popolo intero

 “In Italia si parla continuamente di migranti, ma pochi sanno cos’e’ che li spinge a partire”. ‘Mareyeurs’ e’ allora un modo diverso di affrontare un tema importante. Lo conferma il Premio speciale della Giuria al Migranti Film Festival, che si e’ svolto a Bra, in provincia di Cuneo, dal 1° al 4 giugno.

Locandina
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