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Valente: “Italia ultima in Europa su occupazione delle donne, è un danno per il Paese”

"Vorrei vedere più donne nei tavoli di pace o di negoziato. Le donne siano protagoniste nei processi di decisione"

Pubblicato:08-03-2022 16:24
Ultimo aggiornamento:08-03-2022 16:24

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ROMA – “Sull’occupazione femminile purtroppo l’Italia è ancora fanalino di coda in Europa, il 50% rischia di non trovare un lavoro all’altezza delle aspettative e degli studi. È una criticità che riguarda non solo le donne ma l’intero Paese”. Lo spiega la presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, la senatrice Valeria Valente (Pd), a margine di un evento in Senato su ‘Il lavoro delle donne, libertà dalla violenza e strategia di sviluppo per il paese’. Lavoro “significa libertà e indipendenza- ricorda Valente – e dunque essere più lontani dai percorsi di violenza. La pandemia ci ha detto questo: più donne subiscono violenza e più donne ci sono inoccupate. Non crediamo ci sia una relazione di causa-effetto, ma sicuramente i fenomeni sono connessi. La violenza è sempre l’espressione di una sperequazione di potere nella dinamica delle relazioni uomo-donna, questa sperequazione può essere contrastata dando più spazio alle donne, più libertà e autonomia, e questo passa attraverso l’affermazione nel mondo del lavoro”.

VALENTE: “VORREI VEDERE DELLE DONNE PROTAGONISTE DEI NEGOZIATI DI PACE

Per affermare definitivamente il ruolo delle donne nella società “dobbiamo scardinare i modelli di sviluppo esistenti, ce lo ha detto la pandemia e anche i venti di guerra di questi giorni”, spiega la presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, aggiunge. “Le donne siano protagoniste nei processi di decisione– sottolinea Valente- vorrei vedere più donne nei tavoli di pace o di negoziato. Vorrei vederle dove si decidono i cambi di paradigma, se consentissimo alle donne di dare un altro sguardo su come stare al mondo probabilmente avremmo modelli di sviluppo più giusti ed equi”. 


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