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BOLOGNA – Non serve andare dall’altra parte del mondo per trovare Paesi in cui terapie e cure non sono garantite ai bambini oncologici. Basta fermarsi “alle porte dell’Europa”, come nei Balcani. A testimoniarlo è Francesca Testoni, numero uno di Ageop, l’associazione dei genitori dell’oncologia pediatrica del Policlinico Sant’Orsola di Bologna, in un’intervista all’agenzia ‘Dire’. “Il nostro osservatorio è stato viaggiare nei Balcani- racconta Testoni- tutti i Paesi dell’ex Jugoslavia e dell’ex Unione Sovietica versano in condizioni disastrose. Non c’è bisogno di andare nell’altro emisfero. Abbiamo molto vicino a noi un Paese come il Kosovo, in cui non esiste un centro di oncologia pediatrica. Quindi i bambini del Kosovo o riescono a passare in Serbia o vanno da altre parti, oppure sono fuori”.
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In Bosnia, continua Testoni, solo “da poco c’è la possibilità di curare i bambini oncologici, ma fino a poco tempo fa Sarajevo non li prendeva e quelli che riuscivano andavano in Macedonia o in Serbia”. In altre parole, afferma la numero uno di Ageop, “non c’è bisogno di andare molto in là per capire che anche alle porte dell’Europa la situazione è drammatica. E comunque non sapremo mai i numeri, perchè non ci sono i registri in quei Paesi e i dati che emergono sono fin troppo ottimistici“. Oltre alla “mancanza di trattamenti e terapie”, afferma Testoni, il problema è “arrivare alla diagnosi. Non avere la possibilità di una diagnosi precoce, vuol dire arrivare tardi con le terapie e cambiare completamente la prognosi e le possibilità di vita” del bambino. In sostanza, “i cittadini che provengono da Paesi europei poveri, e quindi non hanno una reciprocità di pagamento tra i sistemi sanitari nazionali, non possono accedere alle cure dei Paesi ricchi d’Europa. Sono disguaglianze inaccettabili”.
Il Policlinico di Bologna accoglie per le cure molti bambini anche da altri Paesi. “Ma potrebbero essere anche di più- afferma Arcangelo Prete, responsabile della oncoematologia pediatrica del Sant’Orsola- se ci fosse più disponibilità in loco da parte delle autorità locali, che sono comunque sempre molto gentili con noi”. Dieci anni fa, ricorda Prete, quando l’allora ministro Frattini siglò un accordo col Venezuela, “calcolammo che il 32% dei pazienti curati nell’arco di cinque anni non era italiano”.
La disugualianza tra nord e sud del mondo “è legata a problemi di accessibilità a cure e terapie, anche d’eccellenza- spiega il primario- al momento, nella parte nord del mondo l’80% dei bambini con patologia oncologica guarisce. Nel sud del mondo sono il 20%. In Italia sono circa 44.000 adulti che sono stati bambini con questi problemi, con un’età media di 30 anni. Questo dà la misura di quanto, anche da noi, sia recente la possibilità di innovazione e di accedere a nuovi farmaci o procedure d’eccellenza”. Progresso scientifico che “ha dato un impulso importante in termini di guarigione” ai pazienti. Nel sud del mondo, invece, “c’è innanzitutto una povertà strutturale importante- continua Prete- se non c’è una struttura, i bambini non vengono curati o non vengono curati in maniera ottimale. I problemi in questo campo sono tanti e possono apparire in maniera acuta”, ad esempio se “non c’è la possibilità di accedere a farmaci, trasfusioni o antibiotici e se non c’è un adeguato livello di competenza per le poche risorse che si hanno a disposizione”.
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