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Da uno studio italiano su bambini con sindrome di Down contributo alle malattie neurodegenerative

Perluigi e Barone (La Sapienza) alla Dire: "In grado di misurare le alterazioni del segnale dell'insulina sul cervello"

Pubblicato:07-12-2021 19:13
Ultimo aggiornamento:07-12-2021 19:16

bimba sindrome down
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ROMA – “La sindrome di Down è la più comune anomalia genetica responsabile di disabilità intellettiva, con una frequenza intorno a 1 ogni 800 nascite di bambini positivi alla sindrome di Down. È una malattia che ha diversi aspetti legati a difetti dell’apprendimento, anche associati a declino cognitivo e questo è un aspetto interessante quando si guarda in prospettiva alla crescita e all’invecchiamento di soggetti affetti affetti da sindrome di Down. La frequenza tra maschi e femmine è media, diciamo che la popolazione è mista di uomini e donne affetti da sindrome di Down”. Lo ha spiegato alla Dire la professoressa Marzia Perluigi, del Dipartimento di Scienze Biochimiche dell’Università La Sapienza di Roma, autrice insieme al professor Eugenio Barone di un’importante ricerca scientifica nell’ambito della sindrome di Down.

Professor Barone, cosa evidenzia il vostro studio?

“Innanzitutto siamo stati in grado di misurare, attraverso un prelievo di sangue, delle alterazioni che si verificano a livello del cervello. Questo è un grande risultato, perché oggi non abbiamo strumenti per identificare questo tipo di alterazioni. Mi riferisco in particolare ad alterazioni del segnale dell’insulina che, probabilmente pochi sanno, ha un ruolo fondamentale a livello del cervello, in quanto l’insulina è coinvolta in maniera molto importante nella regolazione delle funzioni cognitive e della memoria. Quindi, quello che abbiamo scoperto è che c’è una riduzione dell’attività di questo segnale a livello del cervello dei bambini con sindrome di Down e che questo tipo di alterazione si verifica molto molto presto già nei bambini, considerato che il nostro studio coinvolge ragazzi e bambini con un’età compresa tra i due e i 17 anni. Questo, secondo noi, diventa un risultato fondamentale per capire soprattutto quali sono i meccanismi alla base della disabilità intellettiva di questi ragazzi che vanno oltre quella che è la base genetica già della stessa condizione da sindrome di Down”.


Professor Barone, perché questo lavoro può essere così determinante nella vita delle persone affette da sindrome di Down?

“Noi lo proiettiamo nel futuro, perché le persone con sindrome di Down hanno, purtroppo, un rischio elevatissimo di sviluppare la malattia di Alzheimer a partire dai 40 anni di età. Questo tipo di alterazioni che abbiamo individuato nei bambini sono alterazioni tipiche della malattia di Alzheimer, quindi hanno una duplice valenza: da una parte hanno il ruolo di determinare un deficit cognitivo che inizia già da bambini, dall’altro la persistenza di questo tipo di alterazioni potrebbe favorire e accelerare lo sviluppo dell’Alzheimer in queste persone”.

Professoressa Perluigi, ancora un successo tutto italiano nel campo della ricerca scientifica. Come si inserisce il nostro Paese in questo ambito?

“Per noi questo è stato un elemento di grande orgoglio, perché siamo tra i pochi gruppi in Italia che si interessano dello sviluppo della malattia di Alzheimer nella sindrome di Down e quindi questo ci ha dato chiaramente estrema visibilità, sia in un contesto europeo che in contesti internazionali, grazie anche a collaborazioni molto importanti con gruppi di ricerca molto prestigiosi negli Stati Uniti. Ci siamo occupati di un argomento davvero all’avanguardia e di interesse anche per la popolazione normale, anche perchè i nostri studi hanno lo scopo di fornire informazioni e conoscenze di base che non sono solo di interesse per la popolazione con sindrome di Down, ma anche per la popolazione generale. Le nostre strategie terapeutiche possono essere applicate ai pazienti con sindrome di Down ma pensiamo che lo possano essere anche per la popolazione generale. Quindi, impattare sul trattamento dell’Alzheimer nella popolazione, con o senza sindrome di Down. Chiaramente questo aspetto molecolare della malattia ci ha permesso anche di accedere a fondi piuttosto importanti e quindi di poter finanziare le nostre ricerche, che sono abbastanza costose, grazie all’ottenimento di fondi di ricerca sia nazionali che internazionali”

Professoressa Perluigi, come si inserisce l’Italia nel panorama della ricerca scientifica nella sindrome di Down rispetto ad altri paesi?

“Noi siamo abituati ad essere sempre un passo indietro rispetto alla ricerca europea e americana, ma posso dire con un certo orgoglio che, invece, in questo contesto noi in Italia, non solo il nostro gruppo di circa ma anche altri bravissimi colleghi italiani, abbiamo dato un contributo fondamentale alla comprensione dei meccanismi molecolari che sono responsabili della sindrome di Down e che contribuiscono allo sviluppo della demenza, così come altre comorbidità che caratterizzano i soggetti con sindrome di Down. Quindi mi sento di dire che il contributo italiano nella ricerca nel campo della sindrome di Down è estremamente importante. I colleghi europei ci guardano e ci ascoltano con interesse e riconoscono il contributo che abbiamo dato in questi anni alla ricerca nel campo della sindrome di Down”.

Professor Barone, questo il primo passo. Quali quelli futuri?

“I passi futuri saranno quelli di studiare la progressione di queste alterazioni durante il corso della vita di queste persone. Noi adesso abbiamo iniziato con bambini e ragazzi in età preadolescenziale, ci poniamo l’obiettivo di andare avanti nello studio e vedere come variano queste alterazioni nell’arco della vita di queste persone, proprio per individuare qual è il vero contributo, oltre che alla disabilità intellettiva anche allo sviluppo della neuro degenerazione in queste persone”.

Professor Barone, gli studi che avete condotto possono essere applicati su altre patologie neurodegenerative?

“Penso di poter dire con abbastanza tranquillità di sì ed è qualcosa che in realtà è partito dall’Alzheimer e noi abbiamo traslato alla sindrome di Down. Quindi, le malattie neurodegenerative, di cui l’Alzheimer è una delle malattie per eccellenza, sicuramente possono trarre beneficio anche da quello che abbiamo scoperto nella sindrome di Down. Che è anche un po’ il percorso che la ricerca sulla sindrome di Down sta seguendo a livello internazionale. Dunque, studiare la sindrome di Down per capire in anticipo quali siano i meccanismi che, normalmente, si ritrovano alla base dello sviluppo di altre malattie neurodegenerative come l’Alzheimer”. 

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