Getting your Trinity Audio player ready...
|
ROMA – Lo scorso 5 novembre è stato l’Election Day, la giornata elettorale per rinnovare il presidente e i membri del Congresso degli Stati Uniti d’America, una data che catalizza l’attenzione di media e politici di tutto il mondo.
Dai risultati è emerso che il candidato repubblicano Donald Trump abbia avuto il via libera a un secondo mandato, battendo l’avversaria dei democratici Kamala Harris. Ma il processo elettorale non si esaurisce qui. Ci sono altre cinque tappe già fissate che lo scandiscono e che prevedono l’integrazione di nuovi voti.
Il tutto si conclude il 20 gennaio con il giuramento del nuovo inquilino della Casa bianca e dei 535 membri del Congresso, il parlamento americano. Una volta conclusa la giornata elettorale, preceduta da settimane di voto anticipato espresso per posta o via email, si passa infatti all’appuntamento dell’11 dicembre, quando i singoli Stati certificano all’Archivio di Stato la nomina dei loro grandi elettori.
Saranno loro infatti gli incaricati di votare per il candidato presidenziale risultato vincitore in quello Stato, il 17 dicembre successivo.
Il meccanismo elettorale noto come “take it all” prevede infatti che non si contino i voti popolari, ma che il candidato presidenziale che ottiene la maggioranza dei consensi in uno Stato sia sostenuto da tutti i membri del Congresso di quello stesso Stato.
Questo è uno dei punti più contestati del sistema di voto americano: non di rado è capitato che i voti popolari siano andati effettivamente in maggioranza al candidato sconfitto, rispetto a quelli dei grandi elettori, come avvenuto nel 2016 per l’allora esponente dei democratici Hillary Clinton, che superò il vincitore Donald Trump di quasi 3 milioni di consensi.
Tuttavia, quest’ultimo ottenne 304 “grandi elettori” rispetto all’avversaria, ferma a 227. Ciò invece non sembrerebbe avvenuto stavolta: Harris è rimasta a 226 grandi elettori e 68 milioni di voti contro i 295 di Trump, che ha ottenuto anche 72 milioni di consensi popolari.
Il risultato può però ancora cambiare, perché la legge prevede la possibilità per gli Stati di notificare eventuali nuovi voti all’Archivio di Stato fino al 25 dicembre, nel giorno di Natale. Nonostante formalmente si sia intanto formato il Collegio elettorale, i singoli deputati e senatori voteranno per il presidente dalle loro rispettive sedi governative federali.
Solo il 6 gennaio il nuovo Congresso si riunirà a Washington in seduta comune per contare i voti espressi e proclamare il “ticket elettorale” per la Casa Bianca, indicando nome e cognome di presidente e vice presidente. Un’operazione che esegue il vicepresidente in carica e quindi, in questo caso, toccherà alla candidata che per ora risulta sconfitta, Harris.
Infine, l’ultima tappa è fissata al 20 gennaio, quando presidente e vicepresidente si insedieranno, prestando giuramento e dando ufficialmente il via al mandato, che durerà quattro anni.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it