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Tensione in Etiopia, Giro: “Un premio Nobel per la pace rischia la guerra”

L'esperto di Africa Mario Giro analizza quello che sta accadendo in Etiopia, dove il premier Abiy Ahmed ha inviato l'esercito contro i ribelli nella regione del Tigray

Pubblicato:07-11-2020 17:35
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:12

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ROMA – Un Nobel per la pace rischia di dover fare la guerra. E di ripetere magari la parabola del leader sovietico Mikhajl Gorbachev, omaggiato all’estero ma costretto in patria a vedere andare “tutto in malora”. Spettri, questi, secondo Mario Giro, un esperto di Africa, che agitano il sonno del primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed. L’intervista con l’agenzia Dire si tiene dopo scontri armati che in settimana hanno alimentato timori di escalation.

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Da una parte il governo federale di Addis Abeba, dall’altra l’esecutivo del Tigray, una regione al confine con Sudan ed Eritrea dove vivono oltre cinque milioni di persone. Combattimenti sono stati segnalati su un fronte meridionale, al confine con l’Amhara, mentre i caccia sorvolavano il capoluogo Macallè e il presidente tigrino Debretsion Gebremichael accusava le truppe di Addis Abeba di aggressione.


Già viceministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, docente di Relazioni internazionali e geopolitica, Giro è da oltre 20 anni animatore della Comunità di Sant’Egidio. È analista e scrittore: la prossima settimana sarà pubblicato il suo nuovo libro, ‘Guerre nere. Guida ai conflitti dell’Africa contemporanea’ (Guerini e associati). Come rappresentante delle istituzioni italiane o di Sant’Egidio ha visitato molti Paesi subsahariani, dalla Costa d’Avorio al Sudan al Burundi.

In Etiopia Giro è stato più volte, anche per i funerali di Meles Zenawi, il primo capo del governo dopo la fine del governo socialista e l’indipendenza dell’Eritrea nel 1991. “Fu una cerimonia grandiosa, ammantata di un valore religioso nonostante Zenawi religioso non fosse” ricorda Giro. “Esequie così, con tutti i simboli della Chiesa ortodossa, non erano state celebrate nemmeno per il negus”. Un momento, era il 2012, importante per capire la crisi di oggi. Secondo Giro, la scomparsa del primo ministro ha privato l’Etiopia di una figura in grado di contenere le spinte centrifughe favorite dalla scelta federalista fatta dopo la caduta del governo socialista.

“I tigrini che avevano fatto la guerra avevano scommesso sulla decentralizzazione” ricorda l’esperto. “È stato un errore? Oggi sembra di sì, perché invece di garantire un nuovo equilibrio la riforma ha dato spazio alle assertività regionali”. Abiy Ahmed, al potere dal 2018, insignito del Nobel per la pace per l’accordo di “riconciliazione” con l’Eritrea siglato l’anno successivo, è il primo capo di governo della storia dell’Etiopia con origini oromo. Una comunità, questa, maggioritaria dal punto di vista numerico ma storicamente ai margini delle decisioni politiche. Secondo Giro, la scelta di un oromo da parte della coalizione al potere, il Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (Eprdf), è seguita al fallimento del predecessore Hailemariam Desalegn nel tentativo di contenere le spinte centrifughe.

“Una volta al potere, Abiy Ahmed ha sciolto i servizi di sicurezza che Zenawi utilizzava per tenere il Paese sotto controllo” continua Giro. “I tigrini però non gli hanno perdonato una scelta centralista, suggellata dalla nascita del suo Partito della prosperità, che ha voltato le spalle ai principi federalisti abolendo le quote di rappresentanza regionali: oggi il primo ministro rischia di finire come Gorbachev, omaggiato all’estero ma costretto in patria a vedere andare tutto in malora”.

Secondo l’esperto, è difficile prevedere l’evoluzione della crisi. Il Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf), il partito al governo a Macallè, ha convocato e tenuto a ottobre elezioni regionali nonostante l’alt intimato da Addis Abeba. Poi c’è stata un’incursione in una base dell’esercito federale e la risposta militare del governo centrale, con i primi combattimenti. Secondo Giro, “Abiy Ahmed non avrebbe avuto intenzione di fare una guerra ma non può dimostrarsi troppo debole perché altrimenti la federazione si sfascerebbe”. Ieri il Sudan ha annunciato la chiusura della frontiera con l’Etiopia, a conferma dei timori di un’escalation. L’altro ieri nel capoluogo tigrino Macallè, gli abitanti avevano denunciato il sorvolo di un aereo militare: un altro segnale, secondo Giro, che in Etiopia, “forse c’è una nuova guerra”.

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