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Rientro in ufficio da incubo dopo il parto: ‘Ti faremo morire’. Lei non molla e la vessano

La denuncia di Chiara (nome di fantasia) che si è rivolta alla Cgil Lombardia per raccontare la sua storia fatta di cambiamenti di mansioni e cattiverie dai colleghi

Pubblicato:07-10-2019 16:40
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:47

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MILANO – “Ti faremo morire“. E’ la frase che si è sentita dire dal consulente dell’azienda lombarda nella quale lavora da oltre 15 anni Chiara, nome di fantasia di una madre trentenne che, rientrata dalla maternità del suo secondo figlio, è stata prima invitata ad accettare un incentivo per andarsene, poi al suo rifiuto, ha dovuto iniziare a convivere con pesanti vessazioni.

“Da quando sono diventata mamma per la seconda volta- racconta- la dirigenza dell’azienda e i miei colleghi si comportano come se non fossi mai esistita”. Ingiustizie che sta ancora sopportando, per aver scelto di resistere nel suo posto di lavoro: non se ne vuole andare, e anche domani mattina tornerà ad immergersi in un clima di emarginazione e discredito. Accade nell’operosa Lombardia, che però, come dicono tanti bravi imprenditori, non merita il marchio di cinismo e disumanità sulle proprie aziende, eppure… La storia è venuta a galla oggi nella sede milanese della Cgil Lombardia in via Palmanova, dove sono stati presentati i numeri dell’Ufficio vertenze legali del sindacato che la sta sostenendo. Ma ecco tutta la storia.

Circa un anno fa Chiara rimane incinta. Ha già un figlio e la prima gravidanza era stata vissuta all’interno dello stesso ambiente aziendale, ma questa volta le cose vanno diversamente, principalmente a fronte di un avvicendamento alla direzione fra l’anziano fondatore ed i suoi figli; e loro, i nuovi ‘manager’, forse sposano una diversa politica imprenditoriale e un differente stile. La donna rimane assente dal lavoro per alcuni mesi, godendo della maternità obbligatoria e poi della facoltativa. Prima del rientro, comunicato per tempo alla proprietà, la neomamma viene convocata per un colloquio nel quale si ritrova dinanzi a sé soltanto un consulente del lavoro e non anche i suoi capi e responsabili.


E’ durante quel colloquio che le viene comunicata la decisione di “riposizionarla” all’interno dell’azienda, affidandole compiti mai prima svolti e del tutto diversi da quelli conosciuti. Chiara, pur non comprendendo le ragioni di questa iniziativa, non si oppone al cambiamento: questa sua reazione probabilmente spiazza l’interlocutore, il quale a quel punto, con inaspettata schiettezza, le riferisce che nella realtà dei fatti l’azienda non avrebbe avuto più interesse a proseguire il rapporto di lavoro, e le propone un’incentivazione economica al licenziamento, che avrebbe dovuto, comunque, avvenire a seguito del compimento di un anno del proprio figlio. Le intimano di non presentarsi in ufficio fino a tale data.

Ma Chiara si “ribella” e qualche settimana dopo si presenta al suo posto di lavoro. E’ allora che iniziano demansionamento e vessazioni: se prima della gravidanza, la donna era responsabile di un reparto, da quel momento le affidano compiti elementari: fotocopie, rispondere al citofono, tritare documenti, controllare la cassetta della posta e archiviare fascicoli cartacei. Le assegnano una scrivania con un computer, ma senza la possibilità di accedere alla sua consueta email, né ad altri indirizzi aziendali. Muta profondamente il clima intorno: i colleghi, gli stessi di sempre e con i quali mai vi erano stati attriti o incomprensioni, iniziano a farle osservazioni e commenti negativi sul modo in cui “ricordavano lei lavorasse anche prima della gravidanza”, rievocando errori, anche gravi, che avrebbe commesso e a cui durante la sua assenza avrebbero dovuto porre rimedio. Inoltre controllano costantemente i suoi spostamenti e, a fronte dei banali compiti a lei assegnati, arrivano a sostenere che non “bucasse i fogli” nel modo corretto o a spiegarle come andassero “pinzati più fogli insieme”. 

Viene persino cambiato il motore elettrico del cancello di ingresso all’azienda e soltanto a Chiara non viene consegnato un telecomando con cui aprirlo. I titolari convocano una riunione con tutti gli impiegati d’ufficio e a lei non viene comunicato di partecipare. Le propongono al contrario un nuovo incontro con il consulente esterno, in occasione del quale le vengono ribadite le nuove mansioni di cui si sarebbe dovuta occupare, ma con l’aggiunta di motivazioni inedite e differenti: le si fa notare che, per evidenti suoi limiti, non si ritiene lei possa stare al passo con l’evoluzione dei processi lavorativi e della tecnologia che stanno introducendo in azienda, a differenza -le viene aggiunto- della risorsa assunta per sostituirla durante la maternità: laureata, capace, risoluta ed efficiente. Per tutte queste ragioni viene ribadito a Chiara che se pensasse seriamente di accettare la proposta di risolvere il rapporto di lavoro e di cercarsi un nuovo impiego sarebbe di certo meglio per tutti, soprattutto per lei, visto che ormai in quell’azienda non le sarebbe “rimasto molto da fare”. “E’ molto frustrante- dice questa madre- Ma così è purtroppo, io vado avanti con il mio lavoro”.

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