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Migranti, Alfonsi (Open Arms): “Non ci fermiamo per delle leggi ingiuste”

Nelle scorse ore l'ong ha diffuso alcune delle storie delle persone salvate

Pubblicato:07-08-2019 13:18
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:36
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ROMA – “Che cosa dovremmo fare? Smettere di salvare le persone perché si fanno delle leggi ingiuste?”. A parlare all’Agenzia Dire è Veronica Alfonsi, coordinatrice italiana di Open Arms, la nave in mare da giorni e che attualmente ospita 121 persone soccorse nel mediterraneo centrale.

Il riferimento è al decreto sicurezza bis, che prevede pesanti sanzioni “in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane”.


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Di ritorno a Roma da Lampedusa, Alfonsi spiega che l’isola è la più vicina alla nave, e per questo rappresenterebbe il naturale punto di attracco per fornire un porto sicuro ai migranti in fuga dalla Libia: “Siamo a 30 miglia dall’isola, anche le evacuazioni fatte nei giorni scorsi delle tre donne in stato di gravidanza avanzato, di cui una con un feto in posizione podalica, sono state fatte a Lampedusa perché è il porto più vicino” spiega l’attivista.

Intanto, a bordo, la situazione è precaria: “è il sesto giorno che siamo in mare, e più passa il tempo, più la situazione si complica. Su 121 persone, ci sono 32 minori, la maggior parte dei quali (27) non accompagnati, due bambini piccoli, di nove mesi, che viaggiano con la loro mamma. Tutti hanno vissuto tante storie di violenza e sono molto provati, e ora stanno anche un po’ finendo i viveri” spiega Alfonsi.

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“C’è una situazione di stallo- continua- Abbiamo chiesto a Malta e all’Italia di farli sbarcare, ma Malta ci ha negato due volte l’autorizzazione, mentre l’Italia non ci ha proprio risposto. Il governo spagnolo declina ogni responsabilità, mentre l’Unione Europea dice che finché non c’è una condivisione di responsabilità da parte degli Stati, non può intervenire”.

Nelle scorse ore l’ong ha diffuso alcune delle storie delle persone salvate, come quella di Safa, fuggita dal Sudan insieme ad altre quattro donne della sua famiglia, che “ha provato a proteggere con il suo corpo quello della figlia” durante i 9 mesi di detenzione in Libia, tra violenze e abusi continui.

C’è Rabiya, madre di due bambini di nove mesi. “È fuggita dal Camerun per un conflitto legato alla terra nella sua regione che portò alla morte di suo marito- ha raccontato il soccorritore Francisco Gentico alla stampa spagnola- sarebbe stata la prossima a morire, e così ha deciso di scappare in Libia, dov’è stata detenuta”.

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C’è Hortensia, “gravemente ustionata- spiega Alfonsi- perché in Libia il suo ‘kapò’ le buttò addosso della benzina prima che si imbarcasse, e questa, a contatto con l’acqua di mare, le ha bruciato la pelle”.

In generale “possiamo dire che vengono quasi tutti da Paesi per i quali è possibile la richiesta d’asilo” spiega Alfonsi: “siamo convinti di essere nel giusto, ma anche dalla parte della legge e del diritto internazionale, che è sovranazionale”.

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