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Proporzionale per davvero

di Paolo Pombeni per www.mentepolitica.it   Dunque adesso abbiamo l’accordo fra i grandi partiti e dunque si deve presumere che, a

Pubblicato:07-06-2017 17:34
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:19

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di Paolo Pombeni per www.mentepolitica.it

 


Dunque adesso abbiamo l’accordo fra i grandi partiti e dunque si deve presumere che, a meno di scarti imprevisti davanti all’ultimo ostacolo, questa sarà la legge elettorale che ci guiderà verso la nuova legislatura (probabilmente alle soglie dell’autunno, ma non è ancora detto). Che analisi se ne può fare?


Diciamo subito che non ci piacciono le ipocrisie che spopolano in questo momento: lo stracciarsi le vesti per una legge determinata dagli interessi dei partiti e le lagne sul dominio dei “nominati”. Sul primo punto non si conosce storicamente un caso in cui una legge elettorale non sia stata fatta tenendo in mente gli interessi di quelli che avevano il potere di approvarla, cioè dei partiti. Il punto, come vedremo più approfonditamente, è semmai un altro, e cioè se i partiti lavorino nel proprio interesse promuovendo spazi per un confronto serrato fra loro o se preferiscano fare blocco perché la concorrenza sia ridotta al minimo possibile.

Il secondo punto è ancora più ipocrita, perché non si possono fare liste se non su indicazione di qualche agenzia che le promuove. Dunque sono tutte fatte di nominati. Quelli che strillano, vorrebbero semplicemente che il conflitto non avvenisse fra le liste (note nominativamente all’elettore), ma anche all’interno delle liste, dando modo alla guerra per bande interna ai diversi partiti. Questo è il significato delle preferenze e sappiamo perfettamente che è un pessimo sistema che inquina il consenso a pro delle bande (non tutte proprio specchiate) piuttosto che a pro dell’elettore.

Ma torniamo al cuore della questione. Il primo punto è perché si è scelto un sistema completamente proporzionale. Per cortesia non si cada nella sciocchezza dell’impossibilità di avere un sistema che consentisse autonomia alla componente dei collegi uninominali perché noi non abbiamo, come in Germania, la flessibilità sul numero dei membri da eleggere. Bastava semplicemente fissare che un numero X di parlamentari venivano eletti dai collegi e che poi la restante quota di parlamentari sarebbe stata divisa proporzionalmente secondo i voti lista. Non lo si è fatto per una duplice ragione. La prima è che così si sarebbe dovuto consentire il voto disgiunto che è molto temuto da tutti, perché avrebbe aperto reali competizioni di collegio con un elettorato ormai più sensibile alle persone (a volte anche per suggestioni di pancia e per manipolazioni, ammettiamolo) che alle divisioni ideologiche. La seconda è che non sarebbe stato possibile far valere in questo caso la soglia di sbarramento al 5% perché ogni collegio avrebbe fatto storia a sé e questo è considerato molto rischioso per la possibile presenza di enclave dominate da relazioni ibride e clientelari (rischio reale, ma va valutato se valeva la pena di non affrontarlo).

La scelta di u sistema che alla fine è compiutamente proporzionale a pro dei partiti maggiori risponde perfettamente alla logica del momento, che è quella che impedisce ogni soluzione maggioritaria. Siccome siamo in un paese dove chi vince le elezioni cerca di prendersi tutto il possibile (ricordate il buon Previti del “non si fanno prigionieri” nel 1994?) è necessario avere un sistema che ricordi benissimo a tutti quale quota di paese ogni partito rappresenti in modo da rinfacciargli che non può pretendere di cancellare gli altri. Ne deriva il consociativismo spartitorio? Così fu in passato (RAI insegna), ma dopo un ventennio in cui ogni vincitore ha presunto di rappresentare il paese “buono” per cui era in diritto di espropriare i perdenti (“cattivi”) si capisce che qualche virus sia rimasto nel DNA. E si capisce che un partito nuovo come M5S che è accreditato di largo consenso voglia avere il modo di esibirlo senza possibilità di vedersi contestato il suo diritto a sedersi al tavolo del controllo sulla distribuzione delle risorse.

Va riconosciuto che però nella fase finale dei negoziati il pasticcio del simil-tedesco è stato corretto in maniera apprezzabile, segno che alla fine l’opinione pubblica e il sistema costituzionale hanno mantenuto un loro peso. Non è un dato da sottovalutare. Si è dovuto riconoscere preminenza al risultato di collegio per non incappare in un rilievo di incostituzionalità che era assai evidente (e che avrebbe reso difficile la promulgazione della legge da parte di Mattarella). Si è altresì riconosciuto che le pluricandidature nel comparto proporzionale erano un giochetto da magliari da cui era meglio astenersi. Ciò non comprometteva gli obiettivi proporzionali che abbiamo illustrato, ma evitava una fondata polemica antipartitocratica di cui non c’è bisogno.

Detto questo, ci permettiamo sommessamente di dire che prima di pensare che tutto si svolgerà come previsto sui calcoli che gli aruspici politici derivano dai sondaggi attuali sarebbe bene ricordarsi che viviamo in tempi di grande fluttuazione dell’opinione pubblica. Il sistema nuovo, neppure tanto semplice da spiegare, genererà qualche perplessità nell’elettorato, forse aumenterà l’astensionismo, in ogni caso convincerà gli elettori di dover fare scelte i cui esiti sono poco prevedibili e non molto comprensibili. Uno scenario che, sommato agli choc che quotidianamente i difficili tempi in cui viviamo ci riversano addosso, potrebbe portare ad esiti diversi da quelli che quasi tutti profetizzano.

 

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