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VIDEO | ‘Parole contro la paura’, Vera Gheno e il lato B della narrazione pandemica

Intervista alla sociolinguista: "Narrazione dei media? Bomba libera tutti"

Pubblicato:07-05-2020 09:35
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:16

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ROMA – A come attesa, E come emergenza, I come incertezza, O come opportunita’, U come umanita’. Ma anche Q come quarantena, C come casa, G come guanti. È l’alfabeto declinato con le parole della pandemia, quelle scelte dalle persone per raccontare la vita e la quotidianita’ in lockdown oltre la narrazione ufficiale, a scandire le pagine di ‘Parole contro la paura’, instant book edito da Longanesi scritto da Vera Gheno, sociolinguista specializzata in comunicazione digitale, traduttrice dall’ungherese e docente dell’universita’ di Firenze e della Lumsa a Roma.

A introdurre ogni lemma una ‘word cloud’, creata con le parole raccolte dalla studiosa di comunicazione grazie ad una specie di call social lanciata sul suo seguitissimo profilo Facebook e confluita “in una settimana intensa di lavoro” in un manualetto di 118 pagine pubblicato lo scorso 28 aprile.


IL LATO B DELLA NARRAZIONE PANDEMICA – “Stando tanto sui social avevo come il sentore che ci fosse una sorta di lato B della narrazione pandemica, un lato privato, fatto dalle persone che nonostante tutto continuavano a vivere e ad avere delle velleita’ quotidiane anche nella macronarrazione- spiega in un’intervista Skype all’agenzia di stampa Dire l’autrice- Dopo aver osservato un po’ ho chiesto ai miei contatti su Facebook di spararmi, senza pensarci troppo, le prime tre parole che venivano loro in mente rispetto alla pandemia. In tutto hanno risposto circa 1.500 persone.

Ho cercato di raccogliere tutte le parole, le ho divise in ordine alfabetico e per ogni lettera dell’alfabeto ho creato la ‘cloud’, la classica nuvola in cui si vedono piu’ grosse le parole piu’ citate. Ne e’ venuta fuori una sorta di narrazione alternativa della pandemia, che io ho trovato molto interessante”.

SALVARE LE “MICROSTORIE” – Il tentativo e’ quello di salvare dall’oblio le “microstorie” delle persone che “continuavano a vivere nelle crepe della macronarrazione”, racconta Gheno, che pero’ non rinuncia ad intrecciare a questa sorta di ‘lessico famigliare’ della pandemia quello piu’ roboante dei media (PanMEDia) e dello spirito del tempo (Zeitgeist), che accompagnano in piccoli box ogni lettera “per far emergere il contrasto tra le due narrazioni”, nella prospettiva di un “sapere estremamente relazionale”.

È cosi’ che alla lettera G di ‘guanti’, ma anche di ‘gel’, ‘gatti’, ‘genitori’, ‘giardino’, la PanMEDia contrappone il ‘gregge, quello dell”immunita”, mentre lo Zeitgeist suggerisce il termine ‘guerra’, perche’ “del coronavirus si parla usando spesso un linguaggio bellico” e lo stesso virus si identifica sempre come “nemico”, o ancor di piu’ come “nemico invisibile”.

“NARRAZIONE UFFICIALE? UNA SORTA DI BOMBA LIBERA TUTTI” – Una narrazione ufficiale che per Gheno e’ stata “una sorta di bomba libera tutti”, che ha tentato “di attirare l’attenzione in tutti i modi possibili senza pensare all’onda lunga di quello che si andava a dire o a proporre alle persone”. E in cui una grande responsabilita’ l’hanno avuta proprio i giornalisti, facendo “trapelare l’ennesimo decreto anzitempo”, proponendo articoli “su pseudo cure smentite il giorno dopo”, o riportando notizie sul “nemico del giorno”, perche’ “c’e’ una sorta di pancia della gente da titillare. Nel mio libro lo dico- continua la sociolinguista- e’ stata tutta una corsa a creare dei nemici: dal cinese, al terrone, al runner. Come dice ZeroCalcare e’ un royal rumble tutti contro tutti”.

L’ALFABETO “DELL’ATTACCAMENTO AL VECCHIO MONDO” – No, la pandemia per Vera Gheno molto probabilmente non ci cambiera’ e ‘Parole contro la paura’ “non e’ l’alfabeto di un mondo nuovo”. Piuttosto e’ “un alfabeto di attaccamento al vecchio mondo, piu’ di continuita’ che di cesura col passato. E questo a me dice una cosa- osserva- che cambiano le situazioni, ma quello che ci rende umani alla fine sono sempre i rapporti piu’ intimi, le piccole cose, il mangiare, le scocciature quotidiane”. E che al di la’ delle “prove tecniche di anormalita’, vissute in questi due mesi di lockdown”, che “sono nulla rispetto a cio’ che vivono per anni le persone in guerra”, l’attaccamento a questo alfabeto “ci ha sempre mantenuti umani”.

Preservare la quotidianita’, dunque, e’ diventato un esercizio di sopravvivenza, perche’ “siamo fatti di cose molto alte”, ma anche di “panificazione o di lavarsi le mani o di crucciarsi perche’ non si puo’ andare a fare shopping, e va bene. Non cadiamo nell’idea del benaltrismo che siccome siamo in una situazione di sofferenza non possiamo pensare alle piccole cose velleitarie”.

PAROLE COMUNI E NEOLOGISMI – Ma quali saranno le parole che sopravviveranno e ci accompagneranno nella quotidianita’ per lungo tempo? “La maggior parte sono parole comuni che in questo momento hanno un significato particolarmente forte- spiega la docente- Poi ci sono i neologismi, come ‘covidiota’, che sopravvivera’ finche’ ci sara’ la parola Covid. Potrebbero rimanere delle risemantizzazioni funzionali come ‘tamponare’ nel senso di ‘fare il tampone'”, un’accezione “che sicuramente entrera’ nei dizionari, perche’ funziona troppo bene. Non credo che la pandemia provochera’ dei cambiamenti irreversibili e unici”.

‘CASA’, UNA PAROLA PER TANTI SIGNIFICATI – Una parola, pero’, probabilmente non sara’ piu’ la stessa: casa. È “uno di quei termini polisemici che varia moltissimo a seconda della persona e del punto di vista- sottolinea Gheno- Nella narrazione piu’ basic la casa e’ il luogo dove tu abiti e, in questo momento, il luogo dove devi stare”. Per Gheno, pero’, “non e’ affatto banale stare a casa. I senza tetto, in questo momento dove lo eleggono il proprio domicilio? La casa per chi e’ rimasto bloccato dall’altra parte del mondo qual e’ diventata? La stanza di un albergo o la casa di un amico?”. Poi ci sono “le donne e gli uomini che magari stavano per mollarsi, per non parlare di chi ha un partner abusivo”, per cui la casa puo’ trasformarsi in una prigione, spesso teatro dei tanti femminicidi accaduti in lockdown.

L’accostamento della casa in lockdown ad una prigione per la sociolinguista non e’ a tutti i costi un’estremizzazione: “Esiste il carcere ed esiste la misura degli arresti domiciliari. Questo vuol dire che privare le persone della liberta’ di circolare e’ qualcosa di molto pesante, percepito come una punizione. Chi nega che psicologicamente sia una cosa pesante e’ uno sciocco benaltrista”.

PER LE DONNE PERICOLO DI REGRESSIONE NELLA SOCIETÀ – In piu’, lo stare a casa puo’ avere anche una connotazione di genere da non sottovalutare. “Credo che per molte donne la casa sia diventata qualcosa di veramente pesante- osserva Gheno- Molte hanno dovuto continuare a lavorare e a fare tutte le cose di casa senza avere uno stacco tra i due stati. Io ci vedo anche un pericolo di regressione della posizione femminile nella societa’”, perche’ “il femminismo o i discorsi di genere in Italia sono percepiti come un problema da affrontare solo quando tutti gli altri sono stati affrontati”. Come dimostra il modulo di autocertificazione per gli spostamenti declinato solo al maschile. “Il problema- sostiene l’autrice di ‘Femminili singolari’- e’ che nessuno ci abbia pensato”.

LA PAROLA DI GHENO: ‘SOLITUDINE’ – Sara’ ‘solitudine’, pero’, la parola con cui Vera Gheno ricordera’ e raccontera’ questo periodo: “Una solitudine che poi non c’e’, perche’ vivo con mia figlia e tre gatti, ma che e’ una solitudine mentale”. Popolata di quella scrittura “catartica” da cui e’ nato questo libro, pubblicato un po’ per caso “grazie alla mia editrix in Longanesi e che poteva servire a me prima di tutto, per fissare le ‘caccoline della quarantena’”, che, inevitabilmente e inesorabilmente, “si perderanno”.

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