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Zollo (Ucbm Roma): “Robot al fianco del fisioterapista nuova frontiera”

Per capire meglio l’applicazione dei robot in campo riabilitativo la Dire ha intervistato la professoressa Loredana Zollo, docente di robotica medica e industriale presso l’università Campus Bio-medico di Roma

Pubblicato:07-05-2018 10:41
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:51

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ROMA – L’utilizzo dei robot fisioterapisti ha aperto una nuova strada nel trattamento della disabilità. Parliamo di esoscheletri e altri sistemi robotici per la rieducazione degli arti. Oggi i robot indossabili sono in grado di restituire una mobilità almeno parziale a chi ha perso l’uso degli arti. Per capire meglio l’applicazione dei robot in campo riabilitativo la Dire ha intervistato la professoressa Loredana Zollo, docente di robotica medica e industriale presso l’università Campus Bio-medico di Roma.

– Professoressa Zollo può spiegare l’applicazione di queste specialità alla riabilitazione?

“La robotica consente di offrire terapie molto avanzate di tipo robotico e meccatronico in interazione con l’uomo, in contesti di patologie e disabilità anche molto gravi. Tale specialità, nel caso di applicazioni mediche, è indirizzata principalmente alla riabilitazione e quindi all’utilizzo di robot, all’esercizio di recupero motorio in pazienti che hanno perso mobilità degli arti superiori ed inferiori e possono recuperarla attraverso un percorso riabilitativo. In questo caso il robot gioca il ruolo del fisioterapista che aiuta nella somministrazione del trattamento riabilitativo oppure in assistenza. Anche qui il manipolatore può essere usato per fornire assistenza anche ai disabili molto gravi e supportarli nelle attività quotidiane quali possono essere: mangiare, vestirsi, muoversi in casa piuttosto che il supporto alla deambulazione come muoversi e camminare anche in ambienti domestici o professionali. Un altro ambito molto importante è costituito anche dalla protesica, sistemi robotici utilizzati per sostituire arti mancanti. Un altro ambito della robotica è la chirurgia, il robot affianca il chirurgo in operazione che possono essere di teleoperazione nel caso in cui un chirurgo è dietro una consolle pilota un manipolatore e questo effettua l’intervento chirurgico”.


 – Quali sono i progetti in essere?

“Qui al Campus ci occupiamo molto di riabilitazione ed assistenza. Attualmente siamo impegnati sia in progetti internazionali che in ambito europeo, in cui i nostri obiettivi scientifici sono la messa a punto di piattaforme robotiche ed esoscheletriche e fornire assistenza a disabili molto gravi. Questo attraverso l’utilizzo di sistemi robotici combinati e interfacce intuitive per comprende cosa vuole fare il paziente. Usiamo una serie d‘informazioni sensoriali di vario tipo, come la comprensione dell’intenzione dell’utente attraverso per esempio caschetti che monitorano l’attività elettrica del cervello piuttosto che il controllo dell’attività muscolare o ricostruzione dei movimenti articolari dell’arto e pilotare un manipolatore su carrozzina o un esoscheletro su carrozzina. Questo è uno dei progetti di punta che stiamo portando a termine quest’anno insieme a quello sulla riabilitazione dell’arto superiore in soggetti con patologie legate all’attività professionale in collaborazione con l’Inail. Ma anche progetti in ambito protesico con l’Inail di Budrio su protesica di arto superiore che si interfacciano direttamente con il sistema nervoso con il sistema nervoso periferico del paziente non solo promuovendo il recupero del movimento ma anche della sensibilità dell’arto”.

– Ci racconti le ultime frontiere dell’applicazione delle tecnologie biorobotiche sull’uomo?

“La grande frontiera è migliorare l’interazione con l’uomo, sia sano sia affetto da patologie o disabilità. La robotica punta a capire come si comporta l’uomo per cercare di replicare per migliorare la sinergia tra il mondo umano in particolare modo nei sistemi protesici misti, tra l’arto artificiale e l’uomo. Qui al campus, stiamo cercando di vincere la sfida e collegare i due sistemi nel modo più naturale possibile attraverso interfaccie neurali. Ciò avviene attraverso l’impianto di elettrodi neurali nei nervi. Stiamo percorrendo anche strade alternative, utilizzando interfacce di tipo multi modale, per restituire un feedback al paziente di quanto avviene tra l’interazione tra lui e il sistema artificiale che indossa. Questo processo ha lo scopo di favorire la comunicazione bidirezionale tra il mondo naturale, l’uomo e quello artificiale. È la grande sfida della ricerca del futuro”.

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