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Coronavirus, in Israele medici ebrei e arabi lottano insieme. Il 17% è palestinese

"Combattiamo contro due virus: il Covid-19 e il razzismo. Il primo, lo batteremo. Per il secondo ci vorrà più tempo"

Pubblicato:07-04-2020 11:57
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:05

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ROMA – In Israele l’epidemia di coronavirus ha già fatto registrare oltre 6mila contagi, ma la buona notizia è che potrebbe fornire un’occasione di distensione con la comunità palestinese. Gli ospedali in prima linea nel fronteggiare l’emergenza registrano una forte presenza della comunità araba tra medici, infermieri e personale addetto ai servizi come i custodi, gli addetti alle pulizie e alla manutenzione.

AL COLLASSO IL SISTEMA SANITARIO ISRAELIANO SENZA I PALESTINESI

In un articolo del quotidiano Haaretz sono illustrati i dati ottenuti dal ministero dell’Interno: in Israele sono di origine palestinese il 17 per cento dei medici, un quarto degli infermieri e addirittura la metà dei farmacisti. La testata conclude che senza di loro il sistema sanitario “crollerebbe”.

ALLA KNESSET SI COMBATTONO  CORONAVIRUS E RAZZISMO

Il quotidiano francese ‘Le Monde’, rilanciando la notizia, si fa portavoce però delle denunce di “attacchi razzisti” di cui sarebbero oggetto i deputati di origine araba alla Knesset: dopo le elezioni del 2 marzo, la Lista unita dei partiti arabi si è affermata come terza forza politica, un risultato che ha spinto il partito Blu e bianco di Benny Gantz a proporre un’alleanza d’opposizione per formare un blocco compatto rispetto alla maggioranza. Da allora, i deputati arabi sono stati accusati dagli avversari di “sostenere il terrorismo” e di essere loro stessi “terroristi in giacca e cravatta”.


Uno dei leader della Lista, Ahmad Tibi, ha dichiarato: “Combattiamo contro due virus: il Covid-19 e il razzismo. Il primo, lo batteremo. Per il secondo ci vorrà più tempo”. Polemiche che “danno fastidio, ma che nel nostro ospedale non entrano perché qui si lavora tutti insieme” ha dichiarato Naela Hayek, che nell’ospedale di Hadassah, a Gerusalemme, dirige 250 infermieri e infermiere del reparto di terapia intensiva, tra cui ci sono anche tanti arabi. Il reparto è sotto pressione ma unito nel contrastare l’epidemia.

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