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Veneto, i giudici: “Legge anti-moschee non è anticostituzionale”

E' arrivato il responso dei giudici della Corte costituzionale, a cui aveva fatto ricorso il Governo

Pubblicato:07-04-2017 11:00
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:05

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VENEZIA – La legge veneta “anti moschee” non è incostituzionale. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, a cui il Governo aveva fatto ricorso, dichiarando “la non fondatezza della questione costituzionale” rispetto all’articolo 31-bis, ovvero quello che attribuisce “alla Regione e ai Comuni del Veneto, ciascuno nell’esercizio delle rispettive competenze, il compito di individuare i criteri e le modalità per la realizzazione di attrezzature di interesse comune per servizi religiosi da effettuarsi da parte degli enti istituzionalmente competenti in materia di culto della Chiesa Cattolica, delle confessioni religiose, i cui rapporti con lo Stato siano disciplinati ai sensi dell’articolo 8, terzo comma, della Costituzione, e delle altre confessioni religiose”.

BOCCIATO L’ARTICOLO CHE OBBLIGAVA ALL’UTILIZZO DELL’ITALIANO

E’ invece incostituzionale l’articolo 31-ter, che stabiliva che i Comuni potessero prevedere, nella convenzione con cui danno il via libera all’istituzione di un luogo di culto, “l’impegno ad utilizzare la lingua italiana per tutte le attività svolte nelle attrezzature di interesse comune per servizi religiosi, che non siano strettamente connesse alle pratiche rituali di culto”. Questa parte della legge, infatti, travalica “la finalità, di natura tipicamente urbanistica, della convenzione per incidere sull’esercizio della libertà di culto“, che “non si esaurisce nello svolgimento delle pratiche rituali ma comprende anche attività collaterali”. Imporre l’utilizzo dell’italiano, quindi, “determinerebbe una invasione nella materia di rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose, che rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato”.

E’ UNA VITTORIA A META’, PER VENETO E PER GOVERNO

Si tratta quindi di una vittoria a metà per il ricorrente, ovvero il Governo, che può essere letta anche come una vittoria a metà per la Regione Veneto. Se è vero, infatti, che non si potrà vietare l’utilizzo di lingue diverse dall’italiano, rimane il fatto che i Comuni potranno vietare l’apertura di luoghi di preghiera nei centri delle città, relegandoli nelle zone periferiche e vincolandone l’istituzione a tutta una serie di clausole urbanistiche.


di Fabrizio Tommasini, giornalista

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