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Nagorno Karabakh, ambasciatore Armenia: “Conflitto pianificato da Baku”

Alla base della ripresa del conflitto c'e' "la precisa volonta'" da parte del governo azero "di mettere in atto un'avventura militare senza precedenti dal 1994"

Pubblicato:07-04-2016 15:22
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:33

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nagorno karabakhROMA –  Tra sabato e domenica scorsa nell’enclave del Nagorno Karabakh, nel Caucaso meridionale, sono riprese le violenze, con vari morti, tra gli eserciti armeno e azero, ora sospese grazie al cessate il fuoco iniziato il 5 aprile grazie alla mediazione di Russia, Stati Uniti e Francia. Alla base della ripresa del conflitto – dopo 22 anni di tregua – c’e’ “la precisa volonta’” da parte del governo azero “di mettere in atto un’avventura militare senza precedenti dal 1994” risponde alla Dire l’ambasciatore dell’Armenia in Italia Sergis Ghazaryan, spiegando che la rottura definitiva della tregua “non giunge da un giorno all’altro”, al contrario “rappresenta il punto culminante di anni di violazioni militari e di una campagna fatta di affermazioni armenofobe da parte del Presidente Ilham Aliyev”, a cui si aggiunge l’aumento di quasi il 2400% da parte di Baku della propria spesa militare.

La tregua tripartita tra i governi dell’Armenia, del Nagorno Karabakh e dell’Azerbaigian e il successivo Accordo di pace – firmati sotto l’egida dell’Osce e del Gruppo di Minsk – risalgono al 1994-95. A questi accordi hanno fatto seguito varie iniziative suggerite dalla Comunita’ internazionale per rafforzare la stabilizzazione dell’area dopo circa quattro anni di guerra: il ritiro dei cecchini lungo la linea di confine, il meccanismo di indagine congiunto sulle violazioni della tregua – quale strumento di deterrenza all’uso improprio della violenza – e l’aumento e il potenziamento della Missione non permanente degli osservatori Osce. A tutte queste proposte “l’Armenia e il Nagorno Karabakh si sono allineate puntualmente” sottolinea l’ambasciatore Ghazaryan, mentre il governo di Baku “ha sempre opposto il suo rifiuto”.

A spingere il Presidente Aliyev – la cui famiglia e’ alla guida del paese da ormai cinquant’anni – all’azione ci sono anche altre motivazioni: da un lato l’ambasciatore armeno suggerisce l’intenzione di “spostare altrove l’attenzione della comunita’ internazionale”, attualmente impegnata a criticare l’Azerbaigian per la deriva autoritaria intrapresa. In quel Paese “la liberta’ di espressione e’ morta, mentre i giornalisti indipendenti e i dissidenti politici sono in carcere”. Dall’altro c’e’ la crisi economica: il crollo del prezzo del petrolio, settore chiave per le esportazioni di quel Paese, ha fatto si’ che negli ultimi mesi la moneta azera abbia perso il 200% del proprio valore, “con conseguente aumento dell’inflazione e di disordini socio-economici interni”. “Il Presidente Aliyev-prosegue l’ambasciatore dell’Armenia in Italia- ha creato in questi anni – eliminando la stampa interna e vietando l’ingresso agli osservatori internazionali – tutte le condizioni per agire al riparo da occhi indiscreti lungo tutta la linea di contatto col Nagorno Karabak. L’attacco della notte tra il 2 e 3 aprile quindi e’ stata un’avventura militare che sperava sarebbe stata di successo, ma non e’ stato cosi'” e pertanto l’Unione europea, come il resto della Comunita’ internazionale, dovrebbero riconoscerlo: “non e’ ancora troppo tardi per puntare il dito contro la parte che ha violato il regime di tregua” afferma il rappresentante di Erevan.


La pace, dice ancora l’ambasciatore dell’Armenia in italia, “non la fanno i mediatori, ma i leader politici attraverso una visione costruttiva e senso di responsabilita’, e ad oggi, alla prova dei fatti, non vediamo il regime azero sufficiententemente pronto per accettare i compromessi necessari”. Infine Sergis Ghazaryan sottolinea che il governo di Erevan chiede tre cose: prima di tutto il cessate il fuoco, con l’immediato rientro delle rispettive truppe alle posizioni del primo aprile 2016, “richiesta in parte gia’ soddisfatta, anche se fragile. La notte scorsa- racconta l’ambasciatore- si sono verificati alcuni sconfinamenti, stavolta lungo la frontiera tra l’Armenia e l’Azerbaigian, tuttavia in sostanza la tregua sta reggendo”. In secondo luogo Erevan auspica “il afforzamento e l’allargamento della Missione non permanente degli osservatori Osce”, e infine un gesto di distensione da parte del Presidente turco Racep Tayyip Erdogan: “ci preoccupa la sua posizione non costruttiva e destabilizzante, dopo che ha pubblicamente dichiarato che stara’ fino alla fine al fianco fratelli azeri”. Erevan dunque “si sta chiedendo cosa intenda con una dichiarazione che ha il sapore del macabro”. D’altronde la Turchia e’ un alleato storico di Baku, pertanto e’ quasi certo che, se le tensioni sfoceranno in un conflitto aperto, la Turchia scendera’ in campo. E’ per questa ragione che la Russia – che riveste il ruolo di co-negoziatore del gruppo di Minsk accanto a Francia e Stati Uniti – sta perseguendo la strada del dialogo e della distensione. L’ambasciatore suggerisce poi un elemento che i protagonisti della vicenda dovrebbero cogliere al volo: “Quello nel Nagorno Karabakh e’ uno di quei pochi conflitti in cui le posizioni di Mosca, Washington e Unione europea coincidono, non vi e’ nessun contrasto interno”, e alla luce dei piu’ gravi conflitti in corso nel Caucaso del nord, in Medio Oriente e nella Turchia orientale – dove sono riprese le tensioni tra Ankara e i curdi del Pkk – “non e’ interesse di nessuna delle parti una nuova escalation di violenza”. Sergis Ghazaryan ribadisce quindi la piena volonta’ di Erevan di rinunciare all’uso delle armi “per ricorrere al tavolo dei negoziati, unico strumento che riteniamo possibile per raggiungere la pace”.

di Alessandra Fabbretti

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