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Psoe al congresso, la linea rossa di Pedro Sánchez

I socialisti spagnoli verso le assise di giugno, lacerati come non mai. A maggio le primarie e per ora i candidati sono l'ex segretario Sánchez e il basco Patxi López. Incombe la candidatura di Susana Díaz. González? Ormai è il simbolo di un partito sempre più subordinato ai centri di potere economico.

Pubblicato:07-03-2017 18:48
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 10:59

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di ETTORE SINISCALCHI* per www.ytali.com


“Tutti nel Psoe siamo di sinistra”. In questa frase di Susana Díaz, presidente della Junta de Andalucía, il governo regionale, e leader indiscussa dell’apparato socialista, sta la chiave del confronto in atto nel Psoe. Un confronto che, in barba alle indicazioni dei columnist della grande stampa che, come sempre, suggeriscono di guardare al centro per vincere, si gioca tutto sul recupero dei valori della sinistra, sul conquistare la loro rappresentanza agli occhi della militanza del partito e dei simpatizzanti, a scapito dell’avversario interno.


I socialisti spagnoli navigano verso il 39° congresso, che si terrà a giugno, in acque agitate e in una barca con molte falle. Il partito, lacerato come non mai, è guidato dalla Gestora – il comitato di gestione presieduto dal segretario asturiano e presidente del governo regionale, Javier Fernández. A maggio si terranno le primarie – alle quali votano iscritti e simpatizzanti che si sono iscritti in apposite liste – e per ora i candidati sono l’ex segretario Pedro Sánchez e Patxi López, già presidente del Congreso (la Camera dei deputati), del governo basco tra il 2009 e il 2012 e segretario dei socialisti baschi dal 2002 al 2014. Incombe, nell’attesa, la figura della vera avversaria e regista della cacciata di Sánchez, la segretaria andalusa e presidente del governo regionale, Susana Díaz.

La defenestrazione del segretario da parte dei maggiorenti del partito ha fatto a pezzi il “patto” tra militanza e dirigenza. Un patto già debole, più volte Sánchez si è rivolto alla base contrapposta ai vertici per difendersi nello scontro politico interno, anche per l’indebolimento del patto di collaborazione tra i vertici, di cui il “regicidio” del segretario è stato l’epilogo.

I militanti hanno manifestato in difesa del segretario e contro “l’establishment” del partito. Un “Non ci rappresentano” che ha portato in casa socialista lo slogan gridato nelle piazze ai partiti dai ragazzi del 15M  all’indirizzo del gotha del partito, accusato esplicitamente di “golpista”. Un disincanto che travolge leader odierni e del passato, figure un tempo intoccabili come Felipe González, il cui ruolo in prima fila nella cacciata di Pedro Sánchez non è stato apprezzato.

Felipe è sempre meno visto come la memoria vivente del partito – segretario, tranne una breve parentesi, dal ’74 al ’97, capo del governo dall’82 al ’96, due maggioranze assolute conquistate nelle urne – e sempre più come rappresentante dei politici che imboccano le “porte girevoli” dei retribuiti incarichi nei Cda di grandi imprese private (decine fra ministri, capi di governo, sottosegretari di Stato e ex incarichi pubblici in posti chiave dei governi centrali e locali, ora distribuiti in aziende di settori strategici come energia, sanità e farmaceutica, telecomunicazioni, aeronautica, finanza, il cui elenco aggiornato si può trovare qui). Felipe sta diventando il simbolo di un partito sempre più subordinato ai centri di potere economico.

Il gruppo che preparerà il congresso riflette la rottura del patto interno di collaborazione tra i vertici. 226 componenti, la lista è ancora aperta, tra i quali non figurano diretti collaboratori di Sánchez. Molti andalusi (quindi vicini alla Díaz), “patxisti” (seguaci di López), ex ministri e giornalisti, tutti provenienti dal quel Psoe oficialista, termine che si definisce non tanto attraverso un asse destra sinistra, quanto rispetto a un conservatorismo di equilibri ormai in crisi dentro al partito e di posizionamento rispetto alla società spagnola, oltre che relativo alle riforme istituzionali che tutto il quadro politico giudica necessarie ma sulle quali ci sono idee diverse e confliggenti.

Mentre si aspetta che Susana decida, nel suo campo cresce l’agitazione. Quella che doveva essere una vittoria certa non lo è più tanto. Qualcuno ritiene che il tempo favorisca l’ex segretario, offrendo anche il fianco agli strali e ai lazzi dei “sanchisti”, oltre a consolidare pericolosamente la candidatura di Patxi López – entrambi pescano nello stesso bacino elettorale e condividono buona parte del sistema di relazioni e alleanze nel partito. Susana ha, rispetto ai contendenti, anche il peso di dover governare l’Andalusia. Questo era il principale motivo per procrastinare la candidatura ma, nel rapido mutare dello scenario, molti si stanno convincendo che, invece, l’agenda programmata con l’annuncio solo in aprile, alla fine dei lavori preparatori per il congresso, vada anticipata. Ciudadanos, è grazie a un patto di investitura con gli arancioni, preferiti a Podemos, che Susana governa l’Autonomia andalusa, ha già sollevato dubbi sulle conseguenze per la regione della corsa alle primarie socialiste, e Díaz è intervenuta per respingere la possibilità di un voto regionale anticipato.

Sánchez, intanto, ha avuto un intenso finale di febbraio. Il 20 ha presentato al Círculo de Bellas Artes di Madrid il suo programma, evento preceduto e seguito da una serie di meeting politici in giro per la penisola. A Castellón, Saragozza, Valladolid, Melilla e Madrid è stato accolte da folle non più abituali per i socialisti, confermando la capacità di riuscire a mobilitare elettori e simpatizzanti come non accadeva dai tempi di José Luis Rodríguez Zapatero.

Una mobilitazione costruita sulla base del rifiuto del patto col Pp che ha consentito il varo del governo di Mariano Rajoy, quel “No è no” che fu lo slogan con cui Sánchez arrivò alla rottura definitiva coi maggiorenti del Psoe. Su quella posizione ora sta serrando i ranghi e unificando tutte le opposizioni interne che sono confluite sulla sua candidatura, l’unità di tutte le minoranze socialiste è una situazione che non si verificava da tempo.

Così i “guerristi” storici (i seguaci di Alfonso Guerra, sivigliano come Felipe e con lui protagonista della storia del Psoe e di storiche battaglie interne, prima come alleati e poi come acerrimi avversari) José Felix Tezanos, l’economista Manuel Escudero e Enrique Linde; la corrente di Izquierda Socialista, guidata da José Antonio Pérez Tapias, suo avversario all’ultima corsa per la segreteria; oltre ai “sanchisti” della prima ora, come l’ex sindaco di San Sebastián, Odón Elorza, e a figure dotate di maggiore storia personale e autonomia come l’economista ed ex «zapaterista» Cristina Narbona o l’ex ministro di Felipe González e già presidente dell’Europarlamento, Josep Borrell.

Il ritorno a un’elaborazione pienamente socialdemocratica è la bandiera di Pedro Sánchez, e il documento presentato a Madrid la dichiara fin dal titolo: “Somos socialistas”. Elaborato coi contributi dei citati Escudero, Elorza, Narbona e Borrell, oltre al sociologo José Félix Tezanos e all’ex segretaria di Stato all’Interno, Margarita Robles, il documento individua come percorso il recupero dei rapporti a sinistra, in particolare coi sindacati, per la costruzione di una “Alleanza di progresso” con Podemos, che non viene mai espressamente citato, “per cambiare il modello economico e sociale neoliberale”, che viene indicato come il “nemico” del Psoe. È un attacco frontale alle posizioni social-liberali forti tra gli “oficialistas” del corpo dirigente del Psoe la cui distanza viene marcata con le parole chiave che descrivono il suo progetto di Psoe.

Un Psoe “autonomo e libero da ingerenze”, “con una leadership condivisa”, “di sinistra”, “che rivendichi la memoria storica”, “dove la militanza decida”, “femminista” – nulla più che parole-simbolo, certamente, ma che rappresentano elementi critici del dibattito politico interno. Soprattutto, però, il Psoe di Sánchez è “plurale e diverso” e “federalista”. Il recupero del federalismo, storica e abbandonata bandiera socialista, evoca il principale elemento di divisione in seno ai socialisti, ovverosia quale progetto di riforma del sistema costituzionale spagnolo vada costruito per affrontare la crisi della “Spagna delle autonomie”; suggerisce un obiettivo tracciando anche una rotta per l’immediato, rispetto a quale alleanza di governo si debba costruire, parlando ai diversi nazionalismi locali, per conquistare il governo e impostare il processo riformatore.

Il programma “sanchista” ha suscitato poche risposte interne, e in alcuni casi goffe. Se Patxi López, esponente del “costituzionalismo” – l’unità delle forze democratiche contro il terrorismo, nata nel contesto basco, che viene oggi accusato di scivolamento verso l’opposizione a qualsiasi riforma del modello territoriale spagnolo della Costituzione del ’78 – ha, sin dalla presentazione della sua candidatura, incalzato Sánchez sull’idea di nazione che vuole perseguire, “susanisti” di seconda fila altri hanno reagito scompostamente, usando termini come “rosso”, propri della destra spagnola e non certo dei socialisti.

Mentre la Gestora tenta la difficile alchimia di conciliare l’appoggio al governo con la necessità di marcare le distanze dai popolari e di sostanziare le proprie posizioni a sinistra, la cerchia più avveduta dei susanisti, e la stessa Díaz, sono ormai convinti della necessità di mettersi nelle condizioni di poter rispondere all’offensiva di Sánchez. Il primo passo sarà la dichiarazione ufficiale della candidatura della presidente andalusa, che potrebbe arrivare a questo punto già la prossima settimana. Un passo indispensabile per iniziare a parlare direttamente alla militanza ma anche per costruire una eventuale convergenza con López, ipotesi per ora solo sussurrata e per scartarla ma che potrebbe esser presa in considerazione se l’ex segretario continuasse a salire nei favori del corpo elettorale socialista.


*ETTORE SINISCALCHI Giornalista, esperto di Cose Iberiche, che è il nome del suo blog

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