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Il filosofo: “Il caso Cospito non è Sacco e Vanzetti, lo Stato non può accettare l’abolizione del 41 bis”

"In Italia c'è abbondanza di garantisti e si parla poco delle vittime"

Pubblicato:07-02-2023 11:25
Ultimo aggiornamento:07-02-2023 11:27
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ROMA – “Il caso Cospito non ha niente a che vedere con Sacco e Vanzetti. Quello era stato un caso di cattiva giustizia, di prove manipolate a processo, un clima di caccia alle streghe in cui gli anarchici erano diventati capro espiatorio”. Risponde così con fermezza alla Dire il filosofo Luigi Antonio Manfreda, docente di Teoretica all’università Tor Vergata di Roma sul caso Cospito che con il suo sciopero della fame ad oltranza chiede l’abolizione del 41 bis, regime carcerario duro per i mafiosi. Manfreda rincara: “Il 41 bis va mantenuto per i mafiosi. Quando Cospito dice che andrebbe abolito in assoluto afferma qualcosa che le istituzioni non possono accettare. Lo Stato non può neanche prendere in considerazione certe richieste, pur cercando naturalmente in tutti i modi possibili di salvargli la vita. Il 41 bis è nato perché i mafiosi continuavano a dirigere le cosche dalla prigioni– ricorda il filosofo- Non è punitivo, ma vuole evitare che i mafiosi continuino ad esercitare il loro potere. Hanno inventato mille modi per farlo. La mafia non è un modo di delinquere come altri” e per la stessa ragione Manfreda non si dice sicuro che questa misura sia adeguata per il detenuto anarchico. Secondo il filosofo “gli anarchici non costituiscono una minaccia per l’esistenza dello Stato, non sono le Brigate rosse e non hanno una vera e propria struttura unitaria. Li ho visti passare sabato scorso sotto le mie finestre, saranno stati più o meno 500…”, racconta il professore di teoretica che non ravvede in queste persone e nelle piazze agitate di questi giorni un’organizzazione in sé realmente eversiva, anche se comunque lo Stato non può cedere alle richieste di Cospito e l’intellettuale spiega perché.

PERCHÉ LO STATO NON PUÒ CEDERE ALLE RICHIESTE DI COSPITO

“Bisogna tener ben ferma la differenza tra diritto e giustizia- spiega il filosofo citando Benjamin- Il diritto riflette rapporti di forza, risente delle particolari contingenze storiche, dei costumi che variano, è un accordo parziale e momentaneo. Può anche tendere alla giustizia, ma non la ‘compie’ mai. La giustizia infatti non si realizza, salvo in rari casi ‘miracolosi’ e non entra in un codice. Detto questo però, una società (soprattutto quella moderna) non può sussistere senza la forza e l’equilibrio esercitati dal diritto. Gli anarchici ci ricordano che il diritto non è ‘giusto’, né ‘assoluto’ nel senso etimologico del termine, ma trascurano il fatto che è necessario per una vita in comune“.

È tipico del dibattito italiano la polarizzazione estrema tra le “anime belle che vorrebbero abolire il carcere e quelli che sono contigui alle sfere in cui si esercita l’illegalità“, sottolinea Manfreda, “se spieghiamo ad una persona semplice il problema del sovraffollamento delle carceri– dice il docente- magari ci risponde di costruirne nuove, ma questo in Italia è impensabile perché è considerato retrogrado. Da noi, non si dà certezza della pena e abbiamo grande abbondanza di ‘garantisti’. Il problema, in un Paese che ha 4 grandi regioni governate direttamente dalle mafie, non è la prevalenza di chi infrange la legge, ma – ecco il paradosso – i magistrati e i loro comportamenti. Detto questo, anche nel mondo della magistratura vi sarebbero riforme auspicabili da compiere. Ma in generale, sotto il mantello del garantismo, si finisce per promuovere un’impunità generalizzata, come quella relativa ad esempio all’evasione fiscale”.


Secondo Manfreda la posizione dello Stato rispetto a Cospito non ha a che vedere con il fatto che ci sia un governo di destra, anzi “la destra ha sempre mostrato una certa indulgenza nei confronti di un certo tipo di reati diffusi, nonostante la retorica. Pensiamo al ventennio berlusconiano”, dichiara. E aggiunge: “Penso si parli poco delle vittime che non sono risarcite né da un punto di vista materiale né morale, lo Stato se ne dovrebbe prendere cura maggiormente. Da noi chi infrange la norma rischia di essere libero e spesso chi delinque diventa persino eroe”.

Continua il filosofo: “Bisogna considerare che chi opera il ‘male’, ossia infrange le norme (della morale e del diritto), è temuto ma anche, più o meno consapevolmente, ammirato. Colpisce l’immaginazione, esercita una certa attrazione da sempre, per molte ragioni che sarebbe lungo enumerare”. E’ il fascino che suscita chi si pone al di sopra delle norme comunemente accolte, ma in ogni caso occorre sempre ricordare che la legge non coincide con la giustizia ed è per questo che “la pena non redime in senso assoluto, lo fa solo da un punto di vista formale, giuridico”. In Italia, d’altronde, “la tragedia si risolve in farsa- conclude Manfreda- e il reo trova sempre difensori che corrono in sua difesa, specie quando si tratta di corrotti e corruttori. Ci sono le attenuanti, gli sconti di pena… Si viene intervistati, si va in tv e si diventa quello che si è sempre desiderato essere: una celebrità”.

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