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Come si cambia: tutte le giravolte del Movimento 5 Stelle

Dalle alleanze ai cambi di casacca, dai soldi ai partiti al terzo mandato: in meno di dieci anni, il M5S ha assorbito molti aspetti della politica politicante che voleva combattere

Pubblicato:07-02-2022 19:25
Ultimo aggiornamento:08-02-2022 15:03

movimento 5 stelle festa
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ROMA – Tra il dire e il fare, c’è di mezzo il Movimento 5 Stelle. L’ultima crisi del M5S, con la messa in discussione a colpi di carte bollate del leader votato solo sette mesi fa, è la tappa finale di una ‘road to hell’ che lo stesso Beppe Grillo ha definito come una “cupio dissolvi”. I pentastellati si sono presentati in Parlamento promettendo l’apertura della ormai famigerata ‘scatoletta di tonno’, un modo colorito per annunciare una rivoluzione gentile e la restituzione della politica ai cittadini. Ma in meno di dieci anni, i M5S hanno assorbito molti aspetti della politica politicante che volevano combattere.

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LE ALLEANZE

27 marzo 2013. “Ma dove siamo, a Ballarò’?”, chiese Vito Crimi a uno sconcertato Pier Luigi Bersani che nel famoso streaming gli chiedeva, né più né meno, di far partire il Governo che lui stesso voleva presiedere. Niente da fare. Vito Crimi e Roberta Lombardi furono intransigenti, in nome di un principio semplice e all’epoca intangibile: Non ci alleiamo con nessuno. La demolizione è cominciata”. In pochi anni si sono alleati con tutti, o quasi.


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I CAMBI DI CASACCA

“Mettiamo fine al mercato delle vacche”, diceva Luigi Di Maio chiedendo il vincolo di mandato contro il pernicioso fenomeno dei cambi di casacca: parlamentari eletti con un partito che trasmigrano dal relativo gruppo parlamentare a un altro. In questa legislatura 213 parlamentari hanno cambiato gruppo per un totale di 282 transumanze. Il M5S il gruppo che sia al Senato (35) che alla Camera (64) ha perso più parlamentari. Il recordman delle migrazioni parlamentari è il senatore Giovanni Marilotti, attualmente nel Pd, dopo essere passato per il Misto, le Autonomie, il Maie, essere ritornato nel Misto. Nel 2018 era stato eletto dal M5S.

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I SOLDI AI PARTITI

Il M5S non è un partito e non vuole i soldi del tuo 2 per mille. Il M5S ha dimostrato che non servono soldi pubblici per fare politica”, scriveva il Blog delle Stelle il 5 aprile del 2014. Il 30 novembre scorso, quasi il 72% della base dice sì ad incassare il 2 per mille dallo Stato. Ma il M5S non può riscuoterlo. La Commissione di garanzia degli Statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici respinge la richiesta dei pentastellati perché lo statuto, che vieta il pluralismo interno (le correnti) non è ‘conforme’ alle previsioni di legge. Ora i pentastellati devono correre: modificare le statuto e presentare una nuova richiesta alla commissione entro il 23 febbraio.

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IL TERZO MANDATO

In base alle regole delle origini, quasi tutti i big del M5S non potrebbero ricandidarsi alle prossime politiche. Senza modifiche, niente terzo mandato per Luigi Di Maio, Roberto Fico, Paola Taverna, Vito Crimi… Sono in tutto 66 i parlamentari a fine corsa, variamente distribuiti tra le due macro-correnti interne. Forse per questo sia Luigi Di Maio che Giuseppe Conte sono favorevoli al terzo mandato (al limite coinvolgendo gli iscritti).

Eppure nel 2018 il ministro degli Esteri scriveva, in calce a una foto che lo ritraeva con Virginia Raggi: “La regola del terzo mandato non è stata mai messa in discussione e non lo sarà mai. Né quest’anno, né il prossimo, né mai. Questo è certo, come è certo che certi giornalisti continueranno a mentire scrivendo il contrario”. Per la cronaca: nel caso della Raggi la regola fu modificata inventandosi il ‘mandato zero’: se hai fatto il consigliere comunale, non vale.

Peccato che Beppe Grillo sia contrario al terzo mandato per i parlamentari. Di recente, nel commentare lo scontro tra Di Maio e Conte, Grillo ha scritto sul suo blog: “Cupio dissolvi, se non accettate ruoli e regole restano solo voci di vanità che si (e ci) dissolvono nel nulla”.

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